L’imprenditore ha mostrato in video i sette maxi tartufi che utilizza nei suoi ristoranti. Ma c’è chi ha addirittura fatto un esposto ai Nas
Le tagliatelle al tartufo bianco d’Alba resta uno dei piatti più buoni, raffinati e apprezzati della cucina italiana. E da qualche giorno, anche il piatto capace di scatenare una polemica infinita. Al centro delle discussioni un video postato giovedì scorso da Flavio Briatore, che ha scatenato le critiche degli esperti, capaci di presentare un esposto ai Nas. Ma cosa è successo? Dove nascono le polemiche?
LEGGI ANCHE: Eugenio Finardi, vivo per miracolo, salvato dallo smartwatch
Tutto è iniziato la scorsa settimana. Flavio Briatore ha postato sul suo profilo Instagram un video in cui esaltava sette esemplari di tartufi, che fanno bella mostra nei menù del suo ristorante. “Guardate che roba – dichiara nel video -. Tartufi d’Alba certificati. Quest’anno i tartufi non si trovano? E noi li troviamo”, evidenziando le difficoltà (visto il caldo e le grandi piogge) che gli esperti hanno trovato per riuscire a procacciarli. Ma qualcuno ha messo in dubbio che si tratti realmente di tartufi d’Alba. Per i meno esperti ricordiamo che la provenienza non viene indicata dal nome. La dicitura tartufo bianco di Alba non indica l’origine, ma la specie.
Visualizza questo post su Instagram
“Non sono tartufi italiani”
La polemica nasce immediata. Al di là del prezzo (un tartufo del genere e viste le difficoltà di reperirli può arrivare fino a 600 euro), si mette in discussione la vera provenienza dei tartufi postati da Briatore. Riccardo Germani, presidente dell’Associazione nazionale tartufai italiani, firma un esposto presentato ai Nas (Nucleo antisofisticazioni) dei carabinieri e indirizzato anche al ministero delle Politiche agricole e forestali: secondo lui si potrebbe configurare il reato, articolo 517 del Codice penale, di vendita di prodotti industriali con segni mendaci. “Quei tartufi sono troppo grandi – ha dichiarato – è impossibile che in una stagione secca come questa vengano da Alba e siano stati cavati dai tartufai tra Langhe e Monferrato”, ipotizzando che si tratti di tartufi esteri, spacciati per italiani.“Briatore può essere stato raggirato – conferma -. Non basta che un tartufo sia venduto ad Alba, noi vorremmo che fosse indicato se è stato trovato lì, ma questo non è richiesto dalla legge. Invece, come avviene per altri prodotti, sarebbe importante”.
LEGGI ANCHE: Addio al canone Rai: la tv si rivoluziona
Il ristorante Cipriani, di proprietà di Briatore, rassicura tutti: “Arrivano da piccoli produttori piemontesi. Sono di qualità”. A confermare tutto arrivano le parole di uno dei fornitori dell’imprenditore. “Il tartufo più grande viene dalle Rocche del Roero. Io l’ho ritirato dal tartufaio, che come da prassi vuole rimanere anonimo, il 3 novembre e il 4 l’ho portato personalmente e con piacere a Briatore. Ho la bolla del carico del 3 (con nome del trifolau, prezzo, peso etc, ndr) che certifica che mi è stato dato un tartufo raccolto qui, e ovviamente mi fido, e la fattura del 4 l’ha mostrata pubblicamente Briatore sui social. Io ne ho venduto uno, quello con la fascetta, e su quello posso certificare tutto”.
Visualizza questo post su Instagram
In chiusura arriva anche il post di Briatore, che mostra su Instagram il certificato di provenienza dei tartufi: “Chi cerca trova…e noi il vero Tartufo Bianco d’Alba lo abbiamo cercato, trovato e comprato (a 6.000 euro al kg, per essere precisi). Ecco la prova per chi ha scatenato il putiferio sulla autenticità e la provenienza dei nostri tartufi”.