Dalla ultima Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio si evince che solo nel 20 per cento dei casi, gli imputati per femminicidio, hanno problemi psichiatrici.
Nella relazione presentata dalla commissione di inchiesta presieduta dalla senatrice del PD Valeria Valente, è stato inserito un report che dimostra che nell’80% dei casi, gli uomini che commettono femminicidi, nel nostro Paese, lo fanno nel pieno delle loro facoltà mentali: “Spesso si dice che questi uomini che uccidono sono malati psichiatrici ma ora ci sono delle evidenze che abbattono lo stereotipo. La nostra inchiesta stabilisce che c’è invece un abuso di perizie psichiatriche per l’accertamento dei fatti”, ha spiegato all’AGI il magistrato Francesco Roia, tra i fondatori dell’Osservatorio Violenza sulle Donne.
Il dossier raccoglie i dati sui femminicidi dell’ultimo biennio in analisi (2017 – 2018), ricavati non esclusivamente dalle sentenze, come accade nel resto d’Europa, dichiara la senatrice M5S Cinzia Leone: “La relazione sui femminicidi che presentiamo al Senato è un prodotto unico, un’analisi minuziosa e preziosa fatta sui fascicoli giudiziari, non sulle sole sentenze, come invece avviene per prassi negli altri paesi europei”
Secondo i dati, nel 48 percento dei processi, si tende a indagare se l’imputato soffra di qualche disturbo psichico, anche in assenza di precedenti, portando avanti quella che Roia definisce “una strategia della incapacità”.
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Strategia legata a preconcetti culturali che spesso allunga i tempi della giustizia e dà una visione distorta del problema: “Quella strategia difensiva è stata praticata anche in assenza di precedenti psichiatrici – precisa Roia -. Abbiamo studiato gli atti e visto che la perizia era stata sollecitata per persone che magari erano già in cura o avevano avuto un tso ma anche quando non c’è questo tipo di precedente si va sempre a cercare la strada dell’incapacità. Questo avviene per un fattore culturale perché si ritiene che il femminicidio sia un gesto di follia, mentre il nostro lavoro ha accertato che è un delitto programmato, premeditato e non ancorato a una patologia sul piano psichiatrico”, spiega il magistrato.
La narrazione dei media che utilizza termini sensazionali come raptus o follia, di certo, non permette di inquadrare chiaramente il problema, bisognerebbe utilizzare con cautela termini come raptus e follia
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“Quando si parla di femminicidio occorre abbandonare le parole raptus o follia. La ricerca esasperata di ‘medicalizzazione del processo’ è una strada più semplice perché nell’immaginario ‘fa comodo’ catalogare questi episodi nell’angolo del male, del diverso e del pazzesco quando invece l’80 per cento degli uomini che uccidono non hanno nessun problema psichiatrico”, conclude il fondatore dell’OVD, Fabio Roia.