Daniele Dentice D’Accadia ci racconta il suo mondo: è l’unico italiano a essersi esibito sia nella WWE, sia nella AEW, le due federazioni più importanti. A Lugano, il 27 novembre, è diventato campione europeo, poi ha visto all’Olimpico la squadra del cuore contro l’Inter.
Zaino in spalla, un italiano partito con il sogno americano. “Tutto finto”, diranno in tanti. “Fatela voi una vita da atleta del genere…”, risponderanno quelli che conoscono bene i sacrifici dietro a uno sport-entertainment e un’ambizione del genere. Daniele Dentice D’Accadia, in arte “D3”, rappresenta il Bel Paese negli States nel mondo del wrestling. Una passione sfrenata trasformata in professione. Di successo, stando ai risultati fin qui ottenuti: è l’unico italiano a essere stato chiamato sia dalla WWE, sia dalla AEW, le due federazioni concorrenti e più importanti d’America. Il top del top, la Champions League del wrestling. In questi giorni è tornato in Europa, un ritorno di due settimane con tappe graduali verso casa: è diventato campione europeo a Lugano nello show della Pro Wrestling Live Events, poi finalmente l’Italia e la sua città, Roma, tatuata sul petto in bella vista. “Torno in America sabato, è stato emozionante vincere il titolo a Lugano, non lottavo qui da 8 anni. L’ho fatto il 27 novembre, il giorno del mio compleanno. Capite che coincidenza?”, ha spiegato in esclusiva a notizie.com. È entrato a far parte del 2021 d’oro azzurro: “Ho chiuso bene l’anno, è stato un anno magico per l’Italia. Insomma, anch’io ho dato il mio contributo!”.
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Il seminario: “Qui siamo indietro come la MLS…”
D3 racconta il lavoro degli ultimi giorni, caratterizzati dal ring e non solo per i match già annoverati. Ha partecipato a un seminario (organizzato dalla European Pro Wrestling), per far conoscere meglio il “vero” wrestling, non quello proposto in Italia che allontana i ragazzi, piuttosto che instradarli nella direzione giusta: “Qui siamo indietro anni luce, è come pretendere che la MLS, il calcio negli Stati Uniti, sia al passo coi migliori campionati europei. In America il movimento è iniziato a crescere quando sono arrivati giocatori internazionali che hanno portato la loro esperienza. Il wrestling dovrebbe funzionare allo stesso modo: in Italia servono persone che masticano la materia, che sanno come si produce e come si promuove. Se uno non sa di cosa parla, come fa a trasmettere passione e conoscenza? Emularlo vedendolo alla tv non significa essere dei professionisti, qui ci sono quelli che si divertono a fare i lottatori e poi magari fanno un altro lavoro. Sono stato qui anche per questo, è anche nostra responsabilità spiegare come si fa wrestling ad alti livelli, solo così può prendere piede in Italia dove tutto è iniziato nel 2000. In Giappone, negli Stati Uniti o in Messico parliamo di uno storico che parte dal 1900 circa. Capite bene la differenza e la mancanza di cultura…”.
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La Roma nel wrestling: “Mou showman, Ibanez il più cattivo”
La Roma l’ha ospitato all’Olimpico per la partita con l’Inter. Male male, il risultato. Le emozioni però non dipendono da quello: “L’inno è sempre un brivido, dovevo anche vedere i calciatori a fine gara, visto come è finita diciamo che è stato meglio non incontrarli. Tifo Roma, ho provato le sensazioni di quando ero più giovane e andavo allo stadio. Adesso seguo la squadra da Orlando, se riesco vedo le partite, altrimenti le sento in radio tramite le app. La distanza è solo fisica”. Chissà che non nasca una proposta in futuro: “Vedrei bene Mourinho nel mondo del wrestling, è un grande showman, farebbe comodo a un entertainment così, si presterebbe benissimo. Sul ring si può puntare su Abraham o Zaniolo, hanno due fisici esplosivi. A livello di cattiveria direi senza dubbio Ibanez”.
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L’orgoglio delle proprie origini
Bandiera tricolore sulle spalle, costume da gladiatore. In America dimostra l’orgoglio delle proprie origini: “Provo a rappresentare l’Italia in tutto ciò che faccio”, chiude The Prince of Roma (il suo soprannome). “Vivo la mia cultura a distanza, non scambierei la nostra nazione con nessun’altra. Per me è un onore rappresentare il mio Paese nei vari show, è successo anche dopo la vittoria della Nazionale agli Europei. Dovevo lottare, ho visto nel backstage la finale con l’Inghilterra, 10 minuti dopo sono arrivato sul ring con la bandiera in bella mostra, ero ancora più gasato!”.