Dopo 51 anni il figlio degli storici gestori non ha trovato un nuovo socio: non tutti hanno potuto assaggiare i suoi cannoncini, non bastava presentarsi in negozio perché venivano privilegiate le persone del quartiere e l’educazione.
Stop all’attività dopo 51 anni in cui è stata sulla bocca di tutti. Almeno a parole, perché non proprio tutti in realtà sono riusciti ad assaggiare i suoi cannoncini. Non bastava essere ricchi, non bastava entrare e chiedere. Ha chiuso Supino, pasticceria che a Milano ha fatto la storia nel vero senso della parola. Non si è palesato nessun nuovo socio in via Cesare da Sesto, lo cercava il figlio degli storici gestori, stanchi di passare la propria vita tra il laboratorio e la cucina. E così ecco la fine dell’attività di famiglia, una delle più chiacchierate nell’accezione positiva del termine: quei cannoncini grandi come un mignolo sono stati il desiderio di tutte le persone andate lì sicure di portarne via una scorta e invece tornate a casa a mani vuote. Si racconta che anche Piersilvio Berlusconi una volta rimase deluso e fu costretto a rinunciarci. Ma in tanti, come lui, non sono mai riusciti a provarli.
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Prima pasticceria nella Guida Michelin
I cannoncini erano dedicati alla gente del quartiere, non bastava il portafogli pieno e soprattutto non era accettata la maleducazione. Serviva la confidenza per avere accesso a quella bontà, soprattutto il giusto modo di porsi: altrimenti niente, anche se chi veniva rimbalzato poteva in realtà comprare qualsiasi cosa e non solo in quella fabbrica di dolci desideri. Supino è stata la prima pasticceria in grado di entrare nella Guida Michelin, merito di una super “cioccolata e pere”. Cinquantuno anni dopo, sotto le feste di Natale, l’attività è arrivata ai titoli di coda: “Abbiamo trovato solo pasticcioni e nessun pasticcere”, è stato scritto per evidenziare la mancanza di un possibile passaggio di mano o di una collaborazione esterna per portare avanti l’azienda.