Giancarlo Pedote, ottavo allo scorso Vendée Globe, si racconta all’Adnkronos al margine della presentazione del suo libro, a Roma
“Oggi c’è paura dell’avventura, bisogna riportare i giovani nella natura”. E’ questo l’invito lanciato alle pagine dell’Adnkronos da Giancarlo Pedote, arrivato ottavo allo scorso Vendée Globe.
Sabato scorso, nel corso della presentazione del suo libro “L’anima nell’Oceano”, edito da Rizzoli, Pedote è stato accolto a Roma come una star. Il libro racconta dei suoi 80 giorni intorno al globo e la presentazione, nella storica libreria romana “Il Mare” di via del Vantaggio, è stata un’occasione per ascoltare dal vivo le esperienze del navigatore. Nato a Firenze il 26 dicembre 1975, Pedote inizia a navigare all’età di quattordici anni sul wind-surf, passando presto agli Hobie Cat 16 e ai piccoli cabinati. All’età di diciotto anni è istruttore di wind-surf, derive e catamarani e tra il 2000 e il 2003 è formatore nei corsi professionali per skipper organizzati dalla Regione Toscana e dal Fondo Sociale Europeo.
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Ben presto, le sue energie vengono dirottate verso la navigazione in solitario, sua vera passione: così progetta una stagione di regate nella Classe Mini 6.50 con una imbarcazione di serie e nel 2008 diventa campione Italiano Mini. Seguono riconoscimenti, partenze e premi, tra cui il progetto a bordo di Prysmian Group con l’obiettivo del giro del mondo, nel 2019. Nel 2020 parte per il Vendée Globe, giro del mondo in solitario, senza scalo e senza aiuti esterni, che conclude in ottava posizione, a 19 ore dal primo classificato.
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“Mi ha sorpreso la quantità di sargassi, di alghe, che ho incontrato: una cosa mostruosa, negli ultimi dieci anni è cambiato tantissimo. Probabilmente è dovuto al riscaldamento globale, ma assicuro che è stato sorprendente: nella fascia equatoriale le alghe coprono una superficie immensa, delle vere isole, molto più che in passato. Diciamo che ho visto il cambiamento netto negli ultimi dieci anni, e l’ultima volta è sono rimasto impressionato. Ci sono state delle volte che ho dovuto far tornare indietro la barca, con la vela a prua chiusa e la randa cazzata al massimo a centro barca. Pian piano si torna indietro e togli le alghe dalla deriva”, racconta Pedote. Altra volte, grazie alla velocità che fa sì che l’imbarcazione tenda a sollevarsi, non ce n’è stato bisogno.
“Raccogli le alghe nella connessione tra scafo e chiglia, quando alzi la barca di un metro il problema è risolto. Però a volte si prendono delle cime enormi, soprattutto cavi da pesca,ci si mettono ore a liberarsi”, racconta. Quanto alla plastica, il campione non si dilunga. Infatti, alla velocità di 25 nodi, si ha difficoltà a scrutare davanti la prua: “Credo che più della mia testimonianza faccia fede quella della comunità scientifica, e poi basta vedere la plastica che trovi in spiaggia: quest’estate alla Maddalena sono andato a pescare la spazzatura sul fondo del mare e me la son messa in barca per poi smaltirla a terra. Chiaramente capita di vedere plastiche, ma non è sulla nostra esperienza che possano farsi delle statistiche. Di ore in coperta ne ho passate ben poche durante il Vendée, in larga parte per le temperature e poi per la velocità. Non a caso quando devo fare un cambio di vela a prua rallento, se prendi un’onda a 25 nodi voli via come un foglietto di carta”.
Nel corso dell’incontro c’è anche spazio per parlare dell’invecchiamento della gente di mare. Da qui l’invito a lanciarsi in nuove esperienze: “Oggi viviamo in un mondo in cui il virtuale ha molto più appeal del reale; e in più c’è bisogno di passare subito da un’esperienza all’altra e abbiamo bisogno di colmare lo spazio tra le due esperienze. La sindrome compulsiva con cui usiamo gli smartphone prima non c’era, questo è un fenomeno culturale: non si accettano più i vuoti e li devi riempire. Forse adesso c’è davvero bisogno di tornare a cose semplici, come anche una passeggiata nella foresta o in montagna, per riconnettersi con la natura”.