La velocista statunitense Sha’Carri Richardson ha espresso la sua frustrazione per il caso Valieva, gridando al razzismo a causa dell’approccio del CIO.
Due pesi e due misure. Sembra essere questo l’approccio del Comitato Olimpico Internazionale rispetto al tema del doping. La controversia è nata nel momento in cui la pattinatrice russa Kamila Valieva è stata trovata positiva alla trimetazidina. Nonostante ciò, principalmente a causa della giovane età (15 anni), la russa non è stata squalificata, e le è stato permesso di competere nella prova a squadre e in quella individuale. Competizioni che Valieva ha dominato.
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Ebbene, il caso fa riflettere, specialmente se rapportato ad un altro controverso caso di doping: quello di Sha’Carri Richardson, velocista statunitense. Richardson aveva ricevuto una squalifica di 30 giorni nel 2021 dopo essere risultata positiva alla marijuana, e ciò le ha impedito di partecipare alle Olimpiadi di Tokyo. Richardson ha espresso il suo disappunto per la differenza di trattamento rispetto alla pattinatrice russa, dichiarando quanto segue sul suo profilo Twitter. “Possiamo avere una risposta valida riguardo la differenza tra la sua situazione e la mia? Mia madre è morta e io non posso correre, e anche io ero tra le favorite per il podio. L’unica differenza che vedo è che sono una giovane ragazza nera“.
Richardson ha continuato a commentare l’accaduto sul suo Twitter, esprimendo i seguenti giudizi. “È tutto dovuto al colore della pelle”. E ancora: “Comunque il THC non migliora le prestazioni!”. Richardson ha inoltre twittato: “(Valieva) ha fallito il test a dicembre e il mondo lo sa ora. Eppure, il mio risultato è stato reso pubblico in una settimana e il mio nome ed il mio talento sono stati dati in pasto alle persone“. L’ultimo tweet al veleno della velocista recita così. “Nessun atleta NERO ha potuto competere con una causa in corso, non mi importa quello che dicono!”. Molti commentatori, opinionisti e addetti ai lavori hanno mostrato supporto a Sha’Carri Richardson, e la velocista ha prontamente ricondiviso tali opinioni sul proprio profilo Twitter.
Il caso è scottante. Da una parte, è innegabile che vi sia stata una differenza di trattamento. In primo luogo, paragonare la marijuana – che Richardson ha ammesso di aver fumato per superare la morte della madre – alla trimetazidina – che Valieva ha detto di aver preso per sbaglio in quanto apparteneva al nonno – è folle. La prima non è chiaramente una sostanza che può migliorare le prestazioni, mentre la seconda ha degli effetti benefici per quanto riguarda resistenza e sensazione di fatica.
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Ora, è risaputo che la russa abbia ricevuto una “grazia”, almeno per ora, a causa della sua giovane età. Ciò, però, non toglie che Richardson abbia ricevuto un trattamento ingiusto, essendo squalificata pur non avendo tratto giovamento dal “doping” al quale si è sottoposta. Chiaramente, Valieva può ancora essere squalificata retroattivamente, ma questo non riparerebbe il danno causato alla velocista americana, la quale non ha nemmeno potuto partecipare alle Olimpiadi a causa di una decisione troppo severa.