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ESCLUSIVA- Alessio Lisci: “Che spettacolo battere l’Atletico in casa sua”

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Daniele Rocca

Nato a Roma il 4 novembre 1985, Alessio Lisci è il decimo tecnico italiano ad allenare un club della massima serie spagnola: “Sono cresciuto con il calcio di Zeman, mentre Klopp è stato un punto di riferimento”.

Non solo Carlo Ancelotti. In Liga c’è un altro allenatore italiano, è il più giovane di tutto il campionato spagnolo. Si tratta di Alessio Lisci, romano di 36 anni, che da dicembre è diventato tecnico del Levante subentrando all’esonerato Javier Pereira. Dopo dieci anni nel settore giovanile del club valenciano, l’ascesa dell’ex allenatore della seconda squadra è stata rapida e inarrestabile.

L’attuale allenatore del Levante, Alessio Lisci (Getty Images)

Il primo dicembre il Levante gli ha affidato la panchina ad interim per le due partite successive, quella di Coppa del Re contro l’Huracan Melilla (vittoria per 8-0) e quella di campionato contro l’Osasuna (finita 0-0). Visti i risultati, la settimana dopo la società ha deciso di confermarlo alla guida della prima squadra fino al termine della stagione. Alessio Lisci è diventato così il decimo allenatore italiano alla guida di un club di massima serie in Spagna dopo Sandro Pupo, Enzo Ferrari, Claudio Ranieri, Arrigo Sacchi, Fabio Capello, Carlo Ancelotti, Giovanni De Biasi, Cesare Prandelli e Vincenzo Montella.

Alessio Lisci, da Roma a Valencia: sulle orme di Sacchi e Capello

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Sì, se puede“, da quando c’è Alessio Lisci in panchina. Sono state settimane molto intense per l’allenatore del Levante, che ha trascinato il Levante alle prime due vittorie in Liga di questa stagione. Dopo il successo per 2-0 contro il Maiorca, ieri sera è arrivata l’impresa contro l’Atletico Madrid di Simeone, battuto al Wanda Metropolitano. “Battere un club del genere in trasferta è stato spettacolare“, il commento di Lisci, intervenuto in esclusiva ai microfoni di Notizie.com. Il percorso del tecnico romano nel Levante ha radici profonde: sono passati 11 anni da quando è approdato nel club delle Granotes.

SETTORE GIOVANILE – “Quando sono arrivato al Levante, gennaio 2011, la società era piena di debiti, il presidente l’aveva presa e la stava ricostruendo. Quindi quando sono arrivato il club stava cercando proprio qualcuno che facesse tirocinio, perché aveva bisogno di gente per gli staff. Ho iniziato facendo la Primavera, ma già dopo un mese mi hanno messo a fare il preparatore atletico della Juniores. E a fine anno mi hanno affidato anche una squadra di una scuola calcio da allenare per gli ultimi tornei della stagione“.

Il secondo anno l’allenatore della Primavera mi chiese di rimanere a fare il secondo con lui e io ho accettato. Di mattina stavo con la Primavera e di pomeriggio mi avevano assegnato una squadra di scuola calcio. Il terzo anno uguale, però sono passato ad allenare i Giovanissimi che facevano calcio a 11. Stesso discorso l’anno seguente, però a gennaio mi hanno affidato una squadra per gli Allievi. Il quinto anno l’allenatore della Primavera è stato promosso in seconda squadra e a quel punto le strade erano due: o fare il secondo in seconda squadra, oppure la società mi avrebbe affidato gli Allievi Nazionali, non potevo fare entrambe le cose. E ho deciso di scegliere la prima, anche perché era calcio semi professionistico“.

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Siamo saliti di categoria, poi tra gennaio e marzo dell’anno dopo hanno mandato via il mister e me ne sono andato pure io. E sono tornato in Italia. Sono rimasto a casa fino al termine della stagione, poi a settembre mi ha chiamato il direttore del settore giovanile e mi ha offerto la Berretti da allenare. Diciamo che il Levante si è ricordato di me. Il periodo in Italia? Non ho allenato, mi sono limitato a cercare squadra. Anche perché comunque avevo una sorta di cassa integrazione e percepivo circa l’80% dello stipendio per sei mesi. Quando sono tornato lì ho fatto la Berretti, anche l’anno dopo e ho vinto il campionato. E poi mi hanno dato la Primavera: siamo arrivati alle semifinali scudetto“.

L’anno successivo ho rifatto la Primavera, ma c’è stato il Covid quindi non abbiamo fatto le finali nonostante ci fossimo qualificati. L’anno scorso invece ho ricominciato con la Primavera e a fine dicembre mi hanno dato la seconda squadra che era ultima in classifica, mancavano dieci giornate e ci siamo salvati. Quest’anno poi ho iniziato con la seconda squadra e sempre a dicembre mi hanno affidato la prima squadra”.

NON SOLO CALCIO – “Quando allenavo, a causa delle difficoltà economiche del club, lo stipendio tra la scuola calcio e la Primavera era bassissimo. Quindi dovevo trovarmi un lavoro per forza. La mattina allenavo la Primavera e il pomeriggio i ragazzini, quindi dovevo trovare un’occupazione che mi consentisse di lavorare all’ora di pranzo (ride, ndr.). Mi hanno fatto conoscere un ragazzo italiano che aveva una società di prodotti italiani, aveva anche un negozio qua e i prodotti li vendeva ai ristoranti. Quindi facevo il rappresentante di alimenti italiani, vini, tutte le cose riguardanti la ristorazione che vendevo alle attività di Valencia. Da una parte era divertente, dall’altra era anche molto dura: mi svegliavo alle sei e andavo al campo, finivo a mezzogiorno, mangiavo un panino mentre tornavo dal centro sportivo che sta a 35 chilometri da Valencia, dalle 13 alle 16 lavoravo e poi riprendevo il pullman per riandare al campo e tornavo a casa alle 10 di sera. Ho fatto così per due anni, mi piaceva lavorare con i ristoratori, poi erano tutti amici miei, ho mangiato molto bene (ride, ndr.), ma poi diventava insostenibile perché i momenti di scarico erano veramente pochi”.

Alessio Lisci durante la partita tra Levante e Osasuna (Getty Images)

DA EMERY AD ANCELOTTI – “Ancelotti è un grande, sta simpatico a tutti. Alcuni allenatori possono anche stare anticipatici agli avversari. Lui no, mette tutti d’accordo. Ho voglia di conoscerlo, queste cose vengono spontanee, non so che gli dirò. Sicuramente che è un grande, così come ho fatto con Emery quando l’ho incontrato. Le differenze con il campionato italiano sono un po’ quelle che sappiamo tutti: a livello offensivo ci sono molti meno punti di riferimento, quindi è più difficile fare certi tipi di difese. Ci sono meno automatismi ma molto più movimento. A livello difensivo sono un po’ più allegri, per modo di dire, poco precisi, meno attenzione alla tattica. Il vantaggio che ho avuto io nella mia carriera è di essere cresciuto in Italia e poi essere venuto qui. Faccio un mix, non mi piacciono gli estremismi tattici. Vorrei che la mia squadra riuscisse a dominare tutte le fasi del gioco. Sono cresciuto con Zeman, sia alla Lazio che alla Roma. Ho visto mille partite di Zeman quando ero piccolo, lo adoro. C’è stato un periodo in cui Klopp è stato un punto di riferimento, perché fa un calcio diverso sia da Guardiola che da Mourinho”.

SALVEZZA E FUTURO – “Qui i tifosi mi voglio un bene dell’anima. Vengo dal settore giovanile, mi conoscono benissimo, sanno che tipo di percorso ho fatto e si identificano molto in me. Per adesso l’obiettivo è raggiungere quanti più traguardi possibili con il Levante. È una società a cui tengo tantissimo e voglio fare bene. Ottenere la salvezza sarebbe qualcosa di fantastico, non ho ancora fatto un fioretto se ci dovessi riuscire. Lo scorso anno, quando ho ottenuto lo stesso risultato con la seconda squadra, ho fatto 100 chilometri a piedi. Poi è ovvio che in un futuro il campionato di Serie A sarebbe un’esperienza che mi farebbe piacere visto che sono italiano. Lo stesso modo allenare in Premier League. Spagna, Italia e Inghilterra dal mio modo di vedere sono i campionati più belli e mi piacerebbe toccarli tutti e tre. So che per il momento è un sogno ed è molto difficile, però sono quelli in cui mi piacerebbe allenare”.

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