Sale la rabbia dei balneari dopo l’approvazione di un testo di riforma che blocca, al 2023, i rinnovi alle attuali concessioni demaniali
Lo sviluppo della vicenda sui Balneari sembra far propendere l’opinione del popolo dalla parte di Giorgia Meloni , che sembra avere l’appoggio dei balneari. A poche ore dal via libera da parte del Consiglio dei ministri convocato sull’applicazione della direttiva Bolkestein sulle concessioni balneari, infatti, è esplosa la rabbia e la protesta si fa sempre più forte da parte di chi teme che la faccenda possa rivoltarsi contro.
Ripercorrendo quanto accaduto ieri, il Consiglio ha dato via libera alla norma che prevede la messa a gara delle concessioni degli stabilimenti balneari dal primo gennaio 2024, pur ribadendo la necessità di valutare il testo ed esaminare la norma. La bozza al ddl concorrenza – in cui si trova il provvedimento che contiene le norme relative alle concessioni balneari – stabilisce di mettere a gara le concessioni in essere. Una decisione approvata all’unanimità che decreta lo stop al regime di proroga a partire dal 2024, quando saranno ripristinate le gare.
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Durissima la reazione di Giorgia Meloni, che aveva presentato una mozione per prorogare le concessioni di altri 99 anni. “Oggi in Cdm si è consumato il primo atto di un esproprio ai danni di 30mila imprese balneari che avrà durissime conseguenze economiche e sociali. È assurdo che con la crisi ucraina, il caro bollette e l’aumento del prezzo di molti generi di prima necessità il Governo Draghi individui nelle concessioni balneari la priorità per la Nazione e che, con tesi strampalate, legittimi la demonizzazione di un’intera categoria”, tuona la leader di Fratelli d’Italia subito dopo l’approvazione della riforma delle concessioni balneari ma prime voci di lamento arrivano dagli industriali.
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“Il riordino delle concessioni balneari? Per noi è una mazzata. Speriamo tutti in una proroga dello stato attuale, anche perché la revisione del sistema demaniale ha bisogno di parecchi anni. E poi, che almeno ci venga dato il tempo di ammortizzare gli investimenti”, dice Marco Daddio, presidente dell’associazione balneari di Lido di Camaiore, su La Nazione. Il rischio, che si fa sempre più concreto, è che sulle nostre coste arrivino grandi gruppi industriali dall’estero. “Il problema principale? È che la Bolkestein non tiene per nulla in considerazione la tipicità degli stabilimenti italiani. E poi manca del tutto la reciprocità. Io, concessionario italiano, non posso mica partecipare ad una gara in Spagna o in Francia. Non si sa ad oggi quale sarà il nostro futuro”, prosegue.
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Protestano anche i balneari dei Lidi Comacchiesi. “La mobilitazione del settore è già in atto”, spiega Luana Guietti, segretaria nazionale della base balneare di Donnedamare, nonché funzionaria della Cesb, cooperativa degli esercenti balneari di Estensi e Spina. L’intero settore, alle prese con l’esame del provvedimento licenziato dal Consiglio dei ministri, sta valutando azioni di mobilitazione. Duro il commento su La Nuova Ferrara anche di Giuseppe Carli, presidente provinciale del Sib e consigliere nazionale e vice presidente regionale della stessa associazione di categoria: “Siamo considerati dei privilegiati e invece siamo dei torturati. Veniamo spacciati come sfruttatori di un bene, quando invece lo paghiamo profumatamente. Nella bozza che stiamo vivisezionando, le prossime concessioni avranno una durata in base agli investimenti realizzati. Sono avvantaggiate le multinazionali rispetto alle imprese familiari”.
Situazione simile a Viareggio e in Sicilia. “Lo stop alle proroghe delle concessioni balneari – spiega l’assessore regionale al Territorio e all’Ambiente, Toto Cordaro – è visto con grande preoccupazione dal governo Musumeci. Avevamo fatto nostro quanto sancito dalla Legge di Stabilità nazionale del 2018, con l’estensione delle concessioni demaniali al 2033, e oggi il provvedimento adottato da Roma ci appare iniquo. Seppur convinti della bontà del principio dell’evidenza pubblica, tuttavia non si tiene in alcun conto della storia e degli investimenti fatti dagli attuali concessionari, né del percorso di qualità che in Sicilia avevamo intrapreso, ad esempio con il rinnovo delle certificazioni antimafia e con l’incasso di tutti i canoni che hanno generato un introito di ben 15 milioni di euro per la Regione”.