Roma, Svolta coraggiosa ai Parioli, i commercianti si ribellano al racket

Una mossa d’altri tempi e mai vista in uno dei quartieri più ricchi della capitale, i negozianti stufi alzano la testa e combattono gli estorsori

Per anni hanno abbassato la testa e pagato in silenzio. Ma adesso hanno detto basta al racket e basta ai soprusi. E’ successo e sta succedendo ai Parioli, in uno dei quartieri più ricchi di Roma, dove alcuni commercianti si sono ribellati ad alcuni criminali che chiedevano il pizzo da anni. E tutto per merito di un carabinieri che ha dato il là ad una situazione che stava diventando davvero pesante e incresciosa. Come riporta il quotidiano “La Repubblica” “è bastato uno sguardo e il carabiniere che mette in campo l’empatia accanto al codice penale è riuscito a incoraggiare una vittima di estorsione a denunciare” E così un semplice atto avrebbe dato il coraggio a tanti altri di seguirlo e cercare di mettere un freno ad un fenomeno che colpisce anche in uno dei posti dove meno si poteva pensare.

Il dramma
I carabinieri combattono ogni giorni il racket (foto Ansa)

I fatti li racconta per bene il quotidiano romano e nazionale. La prima denuncia è scattata ai Parioli dopo che un ristoratore ha dovuto “consegnare sotto minaccia duemila euro a Antar Mustafà“, un estorsore che si è presentato come figlio del boss Fasciani. L’imprenditore di Parioli ha ascoltato le parole del maggiore Alessandro De Venezia e dopo 24 ore ha deciso di denunciare cosa era successo nel suo locale. “Si fidi di me. Rivolgersi ai carabinieri le consentirà di uscire da una vicenda che altrimenti si porterà dentro per sempre” , è stato l’appello del carabiniere.

L’aguzzino è finito in carcere e ha dato il coraggio agli altri di denunciare

Il fenomeno
Le forze dell’ordine contrastano ogni giorno il racket (foto Ansa)

L’aguzzino è finito in carcere e dopo la prima denuncia, adesso, nel quartiere dei Parioli è scoppiata una vera e propria ribellione con la segnalazione di altre vicende simili sulle quali indagano i carabinieri. Tutto è cominciato a novembre scorso. E a raccontarlo a Repubblica e il maggiore dei carabinieri De Venezia: “Sono entrato nel suo ristorante per prendere il caffè, lui era seduto nei tavolini all’aperto. Aveva l’espressione contrita, di solito mi accoglie sempre con il sorriso. Tanto che ho pensato che fosse successo qualcosa con uno dei miei uomini“. Dopo il caffè il maggiore si avvicina a quell’uomo, lo conosce bene dai tempi dell’inizio della pandemia. “Possiamo scambiare due parole?“, la richiesta dell’imprenditore quella mattina di novembre 2021. Prima l’accenno a un episodio accaduto anni fa in cui un uomo aveva millantato parentele mafiose per non pagare il conto.

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E poi l’ammissione: “Due sere fa è arrivato un altro uomo che non ha pagato oltre mille euro di conto, ha buttato fuori tutto il personale dal locale, ha chiuso le porte e ha voluto duemila euro perché figlio di un Fasciani. Ho ceduto, mi ha riferito particolari sulla mia famiglia che mi hanno messo addosso una paura terribile. Mi ha anche detto, alla fine, che aveva rotto le ossa a uno che si era ribellato” , il racconto dell’imprenditore. E da lì, dopo un giorno di riflessione, è partita la denuncia. Immagini, testimonianze e pedinamenti hanno portato a Mustafà, un lungo pedigree criminale. “Lo Stato è rimasto accanto alla vittima con una vigilanza dedicata. Ci sono state sere in cui ho dovuto tranquillizzare quell’uomo ma gli ho sempre detto la verità. Noi non vendiamo fumo, cerchiamo l’arrosto” , racconta il maggiore De Venezia. Questo episodio ha smosso tanti altri commercianti che in tanti sono andati a denunciare. E’ ancora lunga, ma è un buon inizio.

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