Nel giorno del 19esimo anniversario della morte di “Albertone”, il celebre attore pugliese lo ricorda in esclusiva a Notizie.com: “Oggi avremmo parlato della Roma e di Mourinho. Mi insegnò le tecniche del cinema”
Proprio oggi, 19 anni fa, se ne andava una leggenda del cinema italiano (e non solo). Alberto Sordi si spense a Roma, 82enne, il 24 febbraio 2003, lasciando un vuoto incolmabile per il mondo cinematografico. Unico, inimitabile e amato da tutti. Anche ovviamente da Lino Banfi, che tra le altre cose con lui ha avuto il piacere di lavorare in due diversi film. L’attore pugliese ne ha parlato in esclusiva ai microfoni di Notizie.com, omaggiandone la memoria: “Più che ricordarlo, oggi vorrei farlo sorridere. Anche perché io ho tentato di fare l’attore proprio come lui, anche se lui ci è riuscito più alla grande di me. La strada comunque era quella. Tutti gli attori della mia epoca, questi ‘cialtroni dell’avanspettacolo’ volevano fare le cose come i grandi. Ognuno di noi sognava di diventare Manfredi e Sordi. Ecco, gli direi che io alla fine ci sono riuscito, perché non ci sento bene. Io, come altri, siamo tutti sordi oggi, anche se non al 100%. Ci avrebbe riso molto a sentirla oggi, ne sono certo“.
Poi ha proseguito: “Un’altra cosa che lo avrebbe fatto sorridere mi è capitata invece nel giorno del suo funerale. Mi stavo avvicinando e una persona lì presente, in lacrime, mi fermò con la mano e mi abbracciò. Poi mi disse così: ‘Non ti preoccupare, ci saremo pure per te’. Me lo guardai in faccia e volevo mandarlo a quel paese, ma visto il momento evitai. Mi venne quasi l’orchite per quanto mi grattai forte. Ecco, penso che se potessi raccontare ad Alberto questo episodio ne riderebbe moltissimo“.
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Banfi e il ricordo di Alberto Sordi
Poi Banfi ha parlato della passione che aveva Alberto Sordi per uno dei personaggi interpretati in carriera: “Gli piaceva molto Nonno Libero di ‘Un medico in famiglia’, quando mi vedeva, chiedeva sempre ‘quando ricominci con nonnetto?’. Adesso mi piacerebbe poterlo invitare a cena, magari per i sessant’anni di matrimonio con mia moglie che festeggerò il 1° marzo. E se non fosse potuto venire, allora gli avrei portato io tutto a domicilio pur di stare di nuovo con lui. Quando ci vedevamo parlavano da romanisti. Oggi forse gli avrei chiesto un giudizio su Mourinho, chissà cosa avrebbe risposto. Di sicuro sarebbe stato scocciato perché stiamo andiamo male“.
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L’aneddoto sul set
C’è anche un aneddoto particolare avvenuto sul set che ha legato Banfi e Sordi: “Con lui ho girato due film, ‘Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue’ e ‘Detenuto in attesa di giudizio’. In quest’ultimo dovevamo girare una scena in un cunicolo. Lui era il detenuto in isolamento e io, direttore del carcere, camminavo al suo fianco e dovevamo essere ripresi di spalle. In quella giornata chiesi al regista Nanni Loy se potesse liberarmi prima, perché avevo un compleanno importante. E Sordi fu molto carino, perché disse di far girare prima la mia parte in modo da farmi andare via. Si avvicinò e mi chiese di chi fosse il compleanno, con la complicità di un vero amico che era felice del fatto che potessi andare via per una ragione d’affetto. Poi iniziammo a girare e lui disse: ‘Senti, meglio che vado avanti io, così la macchina da dietro inquadra te’. Pensai ‘che carino, Alberto è il protagonista e si preoccupa di farmi apparire di più in questa scena. Lui neanche si vedrà, verrà coperto dal mio corpo’. Invece, quando disse la sua battuta, invece di farlo camminando in avanti si voltò, dicendola di conseguenza verso la macchina da presa, e poi riprese la marcia in avanti. Si era preso il primo piano, da attore navigato. E mi disse: ‘A Banfi, questo è il cinema, ricordatelo. Ma non ti preoccupare, perché ora dovrà fare il primo piano anche a te’. E infatti il regista mi disse che avrebbe fatto la ripresa anche dall’altro lato per prendere la mia risposta, perché altrimenti sarebbe venuta male la scena. Non me la presi ovviamente, anzi lo ringraziai. Grazie a lui capii le tecniche del cinema, la furbizia e l’esperienza dei maestri. E lui lo era, senza dubbio“.