Il presidente dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani ed ex direttore del dipartimento Affari Fiscali del Fmi ha analizzato la situazione economica in questo momento delicato nel corso di un’intervista rilasciata a La Stampa
La situazione è molto complicata, forse anche di più di quanto si possa immaginare. Lo si capisce bene dall’analisi fatta dal presidente dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, Carlo Cottarelli, sull’edizione odierna de “La Stampa”. L’ex direttore del dipartimento Affari Fiscali del Fondo monetario internazionale, infatti, sottolinea come l’Italia allo stato attuale stia pagando “una tassa al resto del mondo” e che se i “prezzi restassero al livello raggiunto all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, per il 2022 varrebbe fino a 66 miliardi di euro“, che sta a significare il “3,5% del Pil“.
Partendo da questa condizione, l’impatto dell’aumento dei costi delle materie prime sul nostro Paese sarà devastante, soprattutto se il conflitto dovesse perdurare a lungo: la prima stima è infatti di 57 miliardi, con possibilità di crescita fino a 66. Una situazione che difficilmente potrà essere riportata ai livelli di febbraio: “Possibile che una volta raggiunto un cessate il fuoco ci sarà una riduzione degli aumenti, ma sarà complicato tornare indietro“.
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“Un errore votare contro il nucleare”
Cottarelli mette in evidenza che qualora le sanzioni dovessero (come prevedibile) interrompere le importazioni di gas dalla Russia “si entrerebbe in un mondo nuovo” e suo giudizio – considerando che al momento queste rappresentano il 40% delle nostre forniture – non esistono molte alternative a nostra disposizione: “Non c’è molto che si possa fare nell’immediato, tranne portare al massimo l’estrazione dai nostri pozzi e riaccendere le centrali a carbone: non è piacevole, ma nell’emergenza può essere accettabile. Poi si può cercare di rafforzare i flussi di gasdotti che arrivano dal Sud. Ma stiamo parlando di 28 miliardi di metri cubi, non sono certo facili da trovare“. Altro tema importante sotto questo punto di vista è quello legato all’energia nucleare: “Ci sono stati due referendum. Credo che rinunciare sia stato uno sbaglio, soprattutto fermare la ricerca che negli altri Paesi è andata avanti. Ma vale lo stesso per il gasdotto Tap, che è stato contestato a lungo, per le energie rinnovabili frenate dalla burocrazia, per tutti i paletti che sono stati messi al fotovoltaico. Decidiamoci, se vogliamo andare tutti a piedi siamo liberissimi di farlo“.