Sia in tema di nucleare che di corridoi umanitari il Cremlino respinge le accuse che gli vengono rivolte e le scarica sull’Ucraina: “Noi non stiamo cercando incidenti, la colpa è dei nazionalisti e nazifascisti locali”
La versione verso l’esterno è sempre la stessa da parte di Putin: la Russia a suo giudizio non sta facendo niente di male. In fondo da parte sua non viene nemmeno utilizzato il termine “guerra” per definire ciò che sta accadendo in Ucraina, che invece è ritenuta “un’operazione speciale per proteggere il Donbass“.
Così, anche di fronte agli amabili colloqui diplomatici con gli altri leader mondiali, il leader russo mantiene sempre il solito aplomb conciliante e pacifico, senza però prendere in considerazione una sola parola non conforme alla sua idea e scaricando tutte le colpe sull’Ucraina. Un atteggiamento mantenuto anche negli ultimi giorni, in particolare sul tema delle centrali nucleari messe a rischio e dei corridoi umanitari violati, tutte situazioni che dal Cremlino vengono giudicate come “frutto di una cinica campagna di propaganda“.
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Questo è quanto ribadito anche nel nuovo contatto telefonico con il francese Macron, cui è stata spiegata la versione russa su quanto accaduto a Chernobyl: “In collaborazione con l’unità di sicurezza e il personale ucraino, le nostre truppe continuano a garantire il normale funzionamento della centrale, al fine di escludere la possibilità di provocazioni cariche di conseguenze catastrofiche da parte di neonazisti e terroristi ucraini“. E a suo giudizio sono sempre loro i responsabili per quanto riguarda le terribili immagini dei civili uccisi mentre tentavano di scappare da Kiev: “L’Ucraina non rispetta ancora gli accordi su una questione umanitaria così acuta e i loro nazionalisti non hanno permesso l’evacuazione“. C’è da dire anche che tra le tante telefonate ricevute dai leader mondiali, l’ultima è stata quella del premier turco Recep Tayyip Erdogan, che a differenza di tutti gli altri (totalmente ignorati da Putin) ha provocato grande soddisfazione nell’omologo a Mosca per la sua valutazione critica “della rabbiosa campagna di discriminazione della cultura russa e dei suoi rappresentanti in alcuni stati occidentali“.