8 marzo: perché le donne guadagnano meno degli uomini?

Le conseguenze economiche della pandemia hanno ampliato le disparità fra i sessi. E il gender gap rimane 

Perché le donne guadagnano meno degli uomini? La risposta è nel gap salariale, quella falla al sistema che da tempo i governi cercano di risolvere, ma senza successo. Negli anni del covid e della pandemia, tra lockdown, restrizioni, smart working, le donne hanno visto acuire il gender gap. Le lavoratrici italiane vivono da sempre tempi difficili, dovendo faticare e sudare per provare a raggiungere gli stessi risultati degli uomini.

Nonostante le politiche di coinvolgimento nel mondo del lavoro provino a fare qualcosa in questo senso, le donne sembrano soffrire ancora il gap salariale rispetto ai colleghi uomini: stipendi inferiori, percentuali più basse di occupazione, anche a parità di titolo di studio e di posizione. Anche se ormai l’accesso al lavoro femminile è garantito come diritto in maniera universale, e non sembra più essere influenzato dai vecchi stereotipi sul ruolo della donna e sul ruolo dell’uomo – la prima casalinga per eccellenza e il secondo lavoratore e capofamiglia – a rimanere è ancora uno stereotipo che vuole che le donne guadagnino di meno rispetto ai colleghi uomini, anche se esercitano esattamente la stessa mansione.

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Secondo i dati del Global Gender Gap report del World Economic Forum, riferiti al 2020, per chiudere il gap saranno necessari 267,6 anni, in assenza di misure drastiche. Tenendo conto dei 4 ambiti di analisi del report (politica, economia, educazione e salute), che vedrà la parità raggiunta entro 135,6 anni, rispetto ai 99,5 anni ipotizzati solo dal rapporto precedente. E pensare che l’Italia ha guadagnato anche 13 posizioni in classifica, salendo dal 76° al 63° posto su un panel di 156 Paesi al mondo. Dai dati emerge anche un’ altra importante evidenza: le donne perdono il lavoro più degli uomini, arretrando nel reddito e nel benessere.

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Diverse le problematiche italiane: basso tasso di occupazione (in Italia lavora meno di una donna su due), alta percentuale di contratti part time (49,8%), elevata differenza salariale (stimata nel 5,6% dal Wef, ma per altre rilevazioni Eurostat al 12%), mancata possibilità di carriera (solo il 28% dei manager sono donna, peggio di noi in Europa solo Cipro) e accesso a formazione Stem (16% delle donne contro il 34% degli uomini). A incidere sul gap è anche la presenza di figli: i dati parlano di un 4% medio di stipendio perso da una donna rispetto a un uomo in presenza di un figlio, mente i padri invece vedono il loro reddito crescere del 6%.

Dati non rosei vengono dall’Inps: le pensioni per le donne sono più basse del 27% conseguenza delle disuguaglianze salariali. In 13 anni, dal 2008 al 2021, il tasso di occupazione femminile è cresciuto soltanto di 2,6 punti percentuali, come sancito dalla fondazione Di Vittorio della Cgil. La speranza è che, nei prossimi anni, si possa assistere ad un’inversione di tendenza netta, che possa colmare divari e ridurre al minimo le differenze salariali tra uomo e donna.

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