Dopo Non ci resta che il crimine (2019) e Ritorno al crimine (2020), il regista romano chiude la trilogia con C’era una volta il crimine, in uscita il 10 Marzo 2022.
A Massimiliano Bruno, di certo, non si può negare il merito per aver tentato eroicamente di salvare la commedia all’italiana del secondo novecento, aderendo alla dimensione americana di saga cinematografica. Le premesse di C’era una volta il crimine sono semplici: rubare la Gioconda di Leonardo Da Vinci, sfruttando nuovamente i paradossi spazio-temporali scoperti nel primo capitolo. E’ proprio nella sua genesi narrativa che C’era una volta il crimine inizia da subito a scricchiolare, a causa della strampalata idea di effettuare il furto durante la seconda guerra mondiale. La scelta del secondo conflitto mondiale, e dei suoi evidenti pericoli, appare da subito una forzatura, probabilmente giustificata unicamente a livello commerciale, dalla popolarità del periodo storico e dei suoi esponenti più celebri. Accompagnati dalle sopracitate premesse, ci troveremo a seguire la rocambolesca avventura di Moreno (Marco Giallini), Giuseppe (Giancarco Tognazzi) e del subentrato Claudio (Giampaolo Morelli), affiancati nel presente da Gianfranco (Massimiliano Bruno) e Lorella (Giulia Bevilacqua). Come sempre lasciamo alla sala il gravoso compito di sviluppare la vicenda e, di seguito, troverete il risultato esclusivamente sul piano critico.
Questo terzo capitolo è, senza dubbio, l’esponente più complesso della trilogia, tanto a livello produttivo, quanto nell’evoluzione narrativa dei protagonisti. La ricostruzione storica del 1943, al netto di qualche sporadica sbavatura, convince nella sua totalità e permette a Massimiliano Bruno di cimentarsi in sequenze dal sapore quasi hollywoodiano. Dispiace constatare, tuttavia, che la regia, come la fotografia, conosce decise e stranianti cadute di stile, in un continuo sali e scendi qualitativo, che poco aiuta alla compattezza tecnica della pellicola. La traballante attrattiva delle immagini viene ulteriormente penalizzata dal difetto più esplicito del film: l’inverosimile coreografia delle scene di combattimento, rende quasi fastidiosa la messa in scena delle sequenze più concitate, rompendo i delicati equilibri del patto narrativo. I numerosi difetti corrompono inevitabilmente molte delle ottime parabole drammaturgiche concepite da Max Bruno e colleghi. Ad averci convinto, infatti, è sia l’incontro con diverse personalità iconiche, sia l’arco di redenzione che la banda si troverà a vivere, attraverso una catarsi perfettamente inserita nel conflitto. Sketch e tempi comici sono, come da tradizione, scritti e interpretati con efficacia da Giallini & co, riuscendo quantomeno nel nobile scopo di strapparci qualche risata. In definitiva, dispiace davvero constatare come le reali potenzialità di C’era una volta il crimine, siano state malamente dissipate dalle numerose ingenuità formali.
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La conclusione di una piacevole trilogia, ci lascia con la fastidiosa sensazione causata dalle occasioni sprecate e con la malinconica consapevolezza che, un’altro tentativo, sarà difficilmente sostenibile dall’odierno panorama italiano.