Alfredo Mantovano, magistrato di Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro Studi Livatino, spiega in esclusiva a Notizie.com le ragioni del no alla proposta di legge sul fine vita
Il testo sulle “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”, passato all’esame del Senato, infiamma il dibattito parlamentare e divide profondamente l’opinione pubblica. Per i promotori è una “battaglia di civiltà”, per i contrari è un’apertura indiscriminata all’eutanasia e alla “cultura dello scarto”, denunciata anche da Papa Francesco. Tra questi proprio l’ex sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, che sul tema ha dato alle stampe per la casa editrice Cantagalli il volume “Eutanasia. Le ragioni del no”. A Notizie.com ha spiegato i motivi della sua opposizione al testo, ma non solo.
Dottor Mantovano, dopo che la Consulta ha dichiarato inammissibile il referendum sull’omicidio del consenziente, la Camera ha approvato in prima lettura la proposta di legge sul suicidio assistito. Cosa non la convince di questo testo? «Si tratta a pieno titolo di un testo che introduce in Italia l’eutanasia: una legge 194/1978 che, invece che il concepito, ha nel mirino l’ammalato, il disabile, l’anziano non autosufficiente. Della 194 il testo odierno mutua la forma, la struttura, la dinamica, in taluni passaggi perfino la lettera (come emerge sovrapponendo le parti sull’obiezione di coscienza). Non prevedendo un centesimo di euro a sostegno della terapia del dolore, o dell’aiuto che al paziente in difficoltà può venire dai caregiver, essa rende ipocrita l’insieme di belle parole che avvolgono la sostanza; e la sostanza è che le spese per anziani e disabili sono un costo che il sistema sanitario non intende più sostenere. Per rendere meglio l’idea, come l’art. 1 della 194 proclamava che “l’interruzione volontaria della gravidanza (…) non è mezzo per il controllo delle nascite”-, e sappiamo come è andata a finire – così l’eventuale seguito del lavoro parlamentare potrebbe aggiungere al testo sull’eutanasia un proclama del tipo “la morte volontaria medicalmente assistita, di cui alla presente legge, non è strumento per il controllo della spesa pubblica”. Perché invece sarà proprio questo».
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Nel corso dell’incontro “Ditelo sui tetti. Pubblica agenda sussidiaria e condivisa” all’Angelicum di Roma col segretario di Stato vaticano Parolin, lei ha auspicato la formazione di una nuova generazione di “giuristi cattolici”. Perché? «Perché mai come oggi la giurisdizione ha assunto una centralità e un peso politico, di frequente superiori rispetto a quello che svolgono le Istituzioni propriamente politiche, come il Governo e il Parlamento: al punto che da anni il sostantivo più adeguato per qualificare il nostro sistema sembra essere “giuristocrazia“, più che democrazia. Sono almeno tre decenni che schiere di giuristi, taluni di quali hanno assunto cariche istituzionali importanti, propongono l’aggiramento dell’autorità democratica rappresentativa come qualcosa di salutare e di raccomandabile. Sostengono che il luogo della decisione non è bene che sia ancora il Parlamento, perché in esso avvengono scontri di parte; ciò che per la verità in un Parlamento che funzioni costituisce un profilo fisiologico, non patologico: le Assemblee elettive rappresentano le differenti posizioni esistenti nel corpo sociale. Nella loro prospettiva è opportuno invece che quella decisione passi al giudice, in quanto gestore di una “procedura” soft e meno conflittuale. Per decenni questa convinzione si è fatta strada senza incontrare sostanziali opposizioni, e ha trasformato il diritto in generale, e il diritto penale in modo specifico, nella nuova etica pubblica. Avendo la Chiesa beatificato Rosario Livatino, auspico che, sull’esempio del magistrato ucciso nel 1990, i laici cattolici italiani in modo profetico lavorino per ricondurre la giurisdizione nei suoi propri confini, in adesione al quadro di principi iscritto nel cuore dell’uomo».
Quanto è importante che il laicato cattolico si organizzi e faccia sentire la sua voce in ambito pubblico? «Più che importante, è la loro, la nostra missione. “Apostolicam auctositatem”, il decreto sull’apostolato dei laici del Concilio Vaticano II, ci esorta a perseguire quel realistico punto di equilibrio consistente per i cristiani nel “cooperare con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità”, e nel cercare “dappertutto e in ogni cosa (…) la giustizia del regno di Dio”».
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