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In difesa della psicologia… Ma quale psicologia?

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Paolo Colantoni

Il presidente dell’Associazione Italiana Psicologia, protagonista di una relazione che chiarisce alcuni dubbi ed apre nuovi scenari

Quando i ricercatori e i professionisti della psicologia cercano di inserirsi nei processi di cambiamento sociale trovano remore e resistenze che ne mettono in discussione non solo l’effettiva utilità ma i fondamenti stessi come scienza. Ha creato allarmismi l’introduzione della figura dello psicologo scolastico (che esisteva già, anche se non in modo sistematico). Specie quando un disegno di legge sulle “competenze non cognitive” nella scuola ha introdotto l’idea che nelle aule destinate all’insegnamento si debbano anche formare “abilità di vita” utili per l’adattamento sociale.

Santo Di Nuovo, presidente Associazione italiana psicologia

È scattata una reazione preoccupata di chi  – come un noto opinionista – contesta che nella scuola si possa e si debba “formare un tipo standard di individuo, di persona modellata secondo specifiche decise in precedenza come se fosse una macchina … per tradurre in termini standardizzati e quantificabili non tanto le conoscenze quanto soprattutto un certo insieme di tratti psicologici degli studenti, di atteggiamenti o elementi del carattere, inclusi i sintomi clinici delle categorie ‘a rischio’, per poi naturalmente intervenire in senso terapeutico”.  Giusta la preoccupazione, ma è davvero questo che la psicologia deve fare nella scuola? Assolutamente no, basterebbe leggere gli innumerevoli articoli e volumi sulle funzioni dello psicologo scolastico. Ma forse gli opinionisti non hanno il tempo per farlo.

Adesso l’attenzione critica si è spostata sul “bonus per la psicologia”, una misura-tampone per favorire l’accesso a servizi psicologici per problematiche di ansia, stress e depressione conseguenti alla pandemia. Ma, considerato che le sedute previste sono poche, la misura riguarda solo i casi in cui queste “fragilità” (come le definisce la legge) non si configurano come gravi patologie. Per le quali invece vanno potenziati i servizi pubblici di salute mentale, inclusi quelli di psicologia che sono attualmente molto sottodimensionati rispetto ai bisogni.

La reazione di alcuni “intellettuali” al provvedimento ha prodotto articoli come quello di un illustre sociologo, indicativo già dal titolo: “Troppa psicologia genera mostri: la società paternalistica ha il suo nuovo bonus”. Nel testo si dice che “domina l’idea che nella società covi un malessere diffuso, indicibile, oscuro, bisognoso di essere conosciuto e affrontato con ogni mezzo. E questo può spiegare la fiducia acritica che spesso istituzioni e amministrazioni locali manifestano verso la psicologia”.  Viene citato a tal proposito il libro di FurediIl nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana”: che in realtà se la prende con una caricatura della psicologia, quella che incoraggia il conformismo emotivo e rappresenta una forma di gestione sociale, “un governo delle anime” che sostituisce quello delle religioni e delle ideologie in declino.

Riguardo al bonus, la sprezzante conclusione del sociologo è che si tratta di “una misura pannicello caldo o tiepido che permetterà solo a qualche tizia o tizio sprofondati nella solitudine o nella noia di raccontare, per dodici sedute, i fatti propri ad un altro tizio seduto alla scrivania dietro di loro”. È davvero penoso constatare a che cosa viene ridotto il bisogno di ascolto del disagio psicologico, dilagato dopo la pandemia in modo talmente evidente e drammatico che non è neppure necessario sostenerlo con dati (che pure esistono, e tanti).  Quanto all’idea che l’intervento psicologico spinga al conformismo e all’adattamento passivo al “paternalistico” sistema sociale, basterebbe rileggere autori come Adorno, Fromm, Moscovici, Minguzzi, e tanti altri, per accorgersi che la psicologia può essere esattamente l’opposto, liberando risorse critiche e resilienti che rendono la persona e i gruppi più attivi ed auto-efficaci nell’impegno per il cambiamento sociale.

La psicologia non è nuova a tali polemiche. È stata attaccata da regimi totalitari da destra e da sinistra, in base ad interpretazioni che di questa scienza prevalevano in un certo contesto. Contestata in Italia dal fascismo e dall’antifascismo di Croce, messa al bando dal socialismo reale: evidentemente non la ritenevano utile strumento di controllo delle masse, anzi…Molte auto-critiche la psicologia le ha fatte al suo interno. Non contestando se nella società ce ne sia troppo o troppo poca, ma che sia poca psicologia e troppo…altro, che ne assume impropriamente il nome. Negli anni ’30 del secolo scorso Politzer contrapponeva alla tradizionale psicologia “astratta” quella “concreta”, attenta ai problemi esistenziali delle persone anziché a studi avulsi dal contesto. Sulla stessa linea, negli anni ’70, si affermava la psicologia “critica”, che secondo Holzkamp può elevare la rilevanza tecnica dei propri risultati solo avvicinandosi alla struttura concreta della realtà quotidiana. In quello stesso periodo Mitscherlich, in Malattia come conflitto, affermava che “La psicologia sperimentale, che era partita dalla concezione delle scienze naturali, ignorava l’aspetto storico, ma si occupava di irrilevanze accuratamente dimostrate; irrilevanti quando si guarda alla persona nelle decisioni attinenti alla realtà della sua vita”. In realtà la sperimentazione offre un apporto indispensabile alla scienza psicologica, purché non la rinchiuda nelle “torri d’avorio” dei laboratori (la definizione è dello psicologo sociale Tajfel).

Ancora oggi va trovata una mediazione fra psicologia del buon senso (che appare vicina alla vita quotidiana, anche quando non lo è) e psicologia scientifica, che però si identifica spesso con la sperimentazione avulsa dai problemi concreti della gente comune. La prima è quella che tutti i commentatori e gli opinionisti ritengono di conoscere, e che spopola nei salotti televisivi e sui social. L ’invasione della società da parte di questa psicologia che “cerca il consenso mediatico”, o che “vede nel disagio sociale una opportunità di mercato” (citazioni da un altro recente articolo di stampa) è deleteria. Confonde le idee piuttosto che chiarirle, ad esempio quando equipara lo psicologo al mago onnipotente che pretende di capire e curare tutti gli aspetti della mente umana e dei suoi problemi, e di ottenerne benefici in prestigio e in moneta.

È auspicabile invece l’uso della psicologia scientifica a fini di utilità sociale. Ma per questo non ha bisogno di emulare altre scienze “forti”, o di contrapporsi ad esse. Ad esempio, non intende bilanciare il potere della neurobiologia, entrare in concorrenza con psichiatria o neuropsichiatria infantile per accaparrarsi clienti, o con la pedagogia per imporre propri modelli formativi. E neppure vuole adattarsi a diventare una sociologia low-cost. Con le altre scienze della mente la psicologia applicata può collaborare nell’ottica che Edgar Morin definiva “trans-disciplinare”, che vuol dire non solo integrare conoscenze e competenze, ma farlo in base ad un progetto da costruire e perseguire insieme. In cui ogni disciplina parte dalla propria identità, da rivendicare con forza per metterla – senza presunzioni primaziali ma anche senza confusione o sudditanze –  al servizio del progetto comune e dell’impegno per realizzarlo.

Ma qual è la genuina identità della psicologia? Quella di scienza che rivendica l’importanza della soggettività della mente umana, la connette sempre con il contesto relazionale e sociale in cui la mente si manifesta, si sviluppa, si realizza, gode o soffre…  Su queste dinamiche lo psicologo interviene per comprenderne cause e meccanismi, orientarlo verso dimensioni di benessere e di salute mentale, prevenire rischi di devianza o patologie, contribuire alla formazione delle competenze utili per le scelte di vita, migliorare i contesti lavorativi e organizzativi, contribuire a riequilibrare funzionamenti vitali che per varie ragioni vengono perdute da individui, famiglie, contesti sociali.  Questa è la psicologia “concreta” e “socialmente utile” ma al tempo stesso scientifica, e appropriatamente formata, che vorremmo si espandesse. Non per scopi corporativi di aumentare potere e guadagni di una categoria professionale, ma per servire alla costruzione di una società più orientata al benessere e alla salute di tutti.

Santo Di Nuovo
presidente Associazione Italiana di Psicologia

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