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Sullo sfondo, le Marche: un libro che diventa un cortometraggio

Published by
Paolo Colantoni

Ilaria Solazzo intervista Barbara Scheggi, autrice del romanzo “Sullo Sfondo le Marche”, diventato un cortometraggio

Barbara Scheggi è consulente per le PMI e Social Media Manager nel mondo della moda e delle calzature. Appassionata di musica classica e di narrativa italiana e straniera, ha deciso di raccontare in versione letteraria il territorio marchigiano pubblicando il suo primo romanzo dal titolo “Sullo sfondo, le Marche”. Ecco la storia del romanzo, raccolta da Ilaria Solazzo.

Quando è nata in te l’idea di scrivere questo romanzo?
“Poco dopo il primo lockdown. Ma desidero poterti raccontare il come sono approdata a quella decisione, sempre se per te non è un problema. Con un flashback ti riporto alla mia infanzia. All’età di 8 anni, una mia zia, mi regalò un diario dalla copertina rossa e un lucchetto con una chiave piccola piccola. Questa zia, era una donna esile e mingherlina, che non avendo potuto avere figli, riversava su di noi il suo grande amore. Nonostante ella, fosse riuscita a frequentare solo le scuole elementari, (traguardo, già, nobile rispetto alla maggioranza dei suoi coetanei che erano in condizioni economiche abbastanza precarie) mi spronò a evolvermi culturalmente. La zia era davvero convinta che l’istruzione e la conoscenza fossero gli unici strumenti per poter aspirare ad una vita migliore. Mi esortò a leggere vari romanzi e testi letterari, affinchè, in quel diario regalatomi da lei, mi abituassi a scrivere emozioni per me uniche. E così mi apprestai a fare. I miei genitori, lieti del mio interesse culturale, assecondavano ogni mia richiesta. Sceglievo alcuni romanzi custoditi in casa nella libreria paterna… e sfogliandone alcune pagine rimanevo colpita da frasi ed immagini impresse in quei manoscritti. Sognavo di poter da grande fare la scrittrice. Sogno divenuto realtà lo scorso anno. Dopo la morte di mio padre, nei classici momenti in cui si riguardano e si mettono via oggetti vari della persona scomparsa, ho ritrovato la scatola di scarpe in cui avevo riposto, da bambina, i miei vecchi diari. Rileggendoli, tra la commozione per i ricordi e l’ironia per l’ingenuità della calligrafia, che cambiava radicalmente nel tempo, ho trovato vecchie fotografie, che mi ricollegavano a situazioni vissute. Quasi all’improvviso il mio sogno si stava avverando, un bel giorno guardando sui social mi imbattei in un concorso letterario dal titolo “Racconti Marchigiani” e così, quasi per gioco, inviai un mio scritto rielaborato, a partire da quei ricordi. Il mio racconto, così fu scelto e pubblicato. Emozionante fu vedere il mio nome tra gli autori di quella raccolta. Fui estremamente orgogliosa del successo riscosso. Durante la “prigionia” a cui ci ha costretto il Covid, ho scritto altri racconti e partecipato ad altri concorsi, riuscendo a riscuotere consensi. Da quel preciso momento ho sentito in me il desiderio di pubblicare un mio romanzo.

A quale personaggio del libro sei maggiormente legata e perché?
“A Beatrice. Al di là del fatto che il nome che ho scelto per la protagonista è uno dei miei preferiti, in lei vivono contraddizioni, speranze, sogni e delusioni in cui ogni donna si può identificare. L’altra figura intrigante è quella di Basilio, personaggio a cui tengo molto, perché in lui rivedo alcuni aspetti del mio papà scomparso dieci anni fa, al quale ho dedicato questo mio primo romanzo.

Hai scelto di ambientare il tuo romanzo proprio nelle Marche, come mai?
“Sono marchigiana, nata, cresciuta e attualmente residente in uno dei distretti calzaturieri più famosi d’Italia. Dopo aver viaggiato e vissuto in alcune capitali europee, nonostante le possibilità che mi erano state offerte di rimanerci in pianta stabile, ho scelto di tornare nei luoghi a me più cari. Sono diventata adolescente e poi adulta in mezzo alle scarpe e alle pelli, mio nonno era un mastro calzolaio, mio padre ha vissuto per le sue scarpe e l’odore di colla è per me un profumo che fa scattare la nostalgia per un modo di vivere autentico che abbiamo perso, ma anche la determinazione per provare a farlo riemergere. Lavoro ancora nel mondo delle scarpe, non potrei mai separarmene completamente anche se, di questi tempi, l’artigianalità e la genuinità che piace a me stanno scomparendo.

Hai usato vari livelli di comunicazione… raccontaci.
“Ci sono vari livelli di comunicazione che spero di essere riuscita a trasmettere. Immaginiamo di leggere il romanzo come una serie di cerchi concentrici: il perimetro riguarda la famiglia, i rapporti che si instaurano tra i suoi componenti e la maniera in cui questi si intersecano con la società all’esterno. Si tratta di una saga familiare ambientata in un paesino di 13.000 anime della provincia marchigiana, dove le voci di popolo contano più della realtà dei fatti e dove il boom economico degli anni ’80 non si è accompagnato ad un’evoluzione culturale corrispondente. Le conseguenze sono piuttosto scontate e credo che praticamente ogni famiglia di ogni provincia italiana, possa riconoscere dinamiche simili. Il livello intermedio va più in profondità e mostra le fragilità umane e le reazioni che ognuno di noi può avere di fronte ad un trauma, grande o piccolo che sia. I sentimenti più ancestrali e forse più riprovevoli come l’invidia, la cattiveria, la presunzione, il narcisismo o il tradimento generalmente inteso fanno da contraltare alla determinazione, al sacrificio, all’operosità e alla devozione per i valori in cui crediamo. Ciascuno di noi si misura con entrambe queste facce, non esiste una dicotomia netta tra buoni e cattivi e le esperienze che la vita ci mette di fronte ci costringono a scegliere una strada piuttosto che un’altra per provare a risolvere i problemi. Infine il nucleo: l’amore, inteso nel suo senso più avvolgente. L’amore tra un padre e una figlia che non si spezza nonostante tutto, l’amore tra un uomo e una donna che hanno scelto di amarsi superando anche grandi difficoltà in una società dove i desideri si confondono con i diritti, l’amore incondizionato per i propri figli e la consapevolezza che essere genitore è il mestiere più difficile che esista. Perché le nuove generazioni sono il nostro futuro e dalla riuscita dei nostri tentativi di indirizzarli sulla strada più giusta, dipende anche il senso che vogliamo dare alla nostra esistenza su questa Terra. Lo dico da madre, ma il passaggio di questo testimone così prezioso riguarda tutti, anche chi genitore non è, perché ciascun essere umano, con le sue azioni quotidiane, può contribuire a trasmettere qualcosa di sé ed è fondamentale che provi a consegnare la parte migliore di sé.

La storia è già diventata un cortometraggio. Immagino per te sia stata una grande soddisfazione, vero?
“Proprio così. Essendo alle prime armi, cercavo un editor per il mio libro, una persona preparata ed esperta che potesse aiutarmi a mettere ordine ai miei appunti e a migliorarne alcuni aspetti di cui non ero soddisfatta. Casualmente, mi sono imbattuta nel Maestro Roberto Bonaventura. All’inizio era solo una voce intensa e accattivante che, dopo appena una prima lettura della bozza del romanzo, era diventata una sorta di angelo custode, capace in pochi istanti di cogliere esattamente ciò che sentivo e che volevo comunicare. Nelle settimane successive, la conoscenza è diventata amicizia e dopo aver visto i suoi lavori, non potevo non accettare la sua proposta di realizzare un cortometraggio che potesse, allo stesso tempo, fungere da strumento promozionale del libro ma anche raccogliere il messaggio comune che volevamo arrivasse al pubblico: il bene più prezioso che possediamo è l’amore e lo strumento più potente per diffonderlo è la bellezza che ci circonda, sia essa quella del paesaggio, della musica, dei tesori architettonici o dei prodotti artigianali che uomini e donne sapienti riescono a realizzare. Il Maestro Bonaventura ha composto una sinfonia per questo progetto, ha ideato il soggetto ispirandosi al mio romanzo e mi ha permesso di essere sua co-produttrice esecutiva per “Marche Symphony”, un videoclip meraviglioso, realizzato da una squadra eccezionale di professionisti come il regista Alessandro Porzio, la cantante Federica Balucani e tutti i musicisti dell’orchestra che ha eseguito il brano. Mi ha aiutato a scegliere i protagonisti del corto, Maurizio Tassani, Alice Bellagamba, Melissa Giannini e Enrico Crucianelli a cui devo una gratitudine speciale. Abbiamo girato nei Comuni di Monte San Giusto, Montegranaro e Civitanova Marche, utilizzando la strategia del co-marketing per coinvolgere le aziende sponsor. Tra queste vorrei ringraziare i Teatri di Civitanova Marche, Damiano Chiappini che ci ha concesso il suo laboratorio e le sue scarpe, Desiree Lupi con le sue splendide borse, i miei amici parrucchieri Cristian e Simona Giannini insieme alla make up artist Katiuscia Macellari e tanti altri che sarebbe qui troppo lungo elencare. Mi hai chiesto se questo lavoro sia stata una soddisfazione. Beh, è stata molto di più che una soddisfazione! Appena Roberto mi ha avvisato della pubblicazione del corto, ero in trepidazione, avevo visto e rivisto tante scene del girato, avevamo discusso insieme di alcuni dettagli, ma la fiducia che avevo in lui mi aveva convinto a lasciargli carta bianca fino alla versione definitiva. Ed è stato un tripudio di emozione, commozione, soddisfazione e ammirazione. Come mi ha scritto una mia cara amica qualche giorno fa, “ai passi della ballerina corrispondono le fasi della lavorazione della scarpa che io visualizzo come i passaggi fondamentali della nostra vita, ad ogni nota si intuisce una parola, ad ogni immagine posso associare un profumo. Forse è stato tuo padre a dettarti le pagine del tuo libro e tu sei riuscita ad afferrare quel famoso testimone che avevi paura di non saper raccogliere”. Come si fa a sintetizzare in un’unica parola tutto questo?

Se tu potessi fare un regalo all’umanità per cosa opteresti?
“Questa è una domanda da un milione di dollari! E io sono soltanto una persona umile e sconosciuta che mai potrà incidere in nessun modo sulle sorti dell’umanità. Posso solo dirti che il mondo che mi circonda non mi piace, percepisco tanta disumanità e molti orrori. Se dovessi rivolgere una preghiera sincera in questo momento, chiederei che la luce possa squarciare queste tenebre che ci soffocano , affinché l’essenza profonda dell’essere umano e il senso profondo della vita tornino ad occupare il posto che spetta loro. Più che un regalo, considera il mio libro un grido di dolore e una piccola fiammella che possa, in qualche modo, focalizzare l’attenzione dei lettori verso ciò che è realmente prezioso.

 

Meraviglioso e commovente. È l’esempio di quanto una donna può rimanere perennemente bambina aspettando suo padre e da bambina avere la capacità di vedersi ormai donna.
Tutto questo da la forza di continuare a credere che si possono raggiungere grandi obiettivi affidandoci alle piccole cose, all’apparenza scontate, ma che si rivelano un mezzo perfetto .

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Paolo Colantoni