Umberto Perna perse la vita a Roma in un incidente mortale durante le ore di lavoro: il giudice ha riaperto il caso dopo aver ricostruito quanto accaduto.
Un caso che si riapre dopo circa 4 anni da quel tragico incidente fra la Cassia e la Cassia bis a Roma. Diaz Wilmer, un 44enne di origine cubana, rimase vittima di un colpo di sonno mentre era al volante di un furgone.
Al suo fianco c’era il collega Umberto Perna, che a causa del violento impatto perse la vita. Wilmer a distanza di tre anni ha patteggiato 8 mesi di pena, ma la madre di Perna ha lottato per far riaprire il caso, e gli avvocati hanno ricostruito le condizioni di lavoro all’interno dell’azienda, presentando un fascicolo ampio e dettagliato davanti al giudice con tanto di denuncia al datore di lavoro.
Sarà il giudice quindi a stabilire se i turni ai quali erano sottoposti i dipendenti violavano i limiti di legge, ma l’accusa è pesante e le parole della donna ricostruiscono condizioni molto delicate che i giovani rispettavano per non perdere il lavoro.
Il caso si riapre dopo l’incidente mortale sul lavoro
La mamma di Umberto Perna, vittima dell’incidente dopo il colpo di sonno a Diaz Wilmer, suo collega, ha chiarito gli aspetti del lavoro e gli orari ai quali erano sottoposto i due impiegati. Nella denuncia si legge che erano costretti a stare al volante anche 65 ore alla settimana con il compito di trasportare merce caricata nel magazzino di Pomezia e poi trasportata fra Lazio e Abruzzo.
Nel raccontare le massacranti giornate del figlio, la mamma della vittima ha inoltre svelato che non c’era riposo di sabato e domenica, che la sera i furgoni erano caricati per poi essere nuovamente alle 6.30 pronti per le consegne.
Il Corriere della Sera ha ricostruito anche la giornata precedente allo schianto sulla Cassia. Perna era rientrato alle 23.30 per ritrovarsi sul furgone accanto a Wilmer Diaz a distanza di 9 ore, nonostante la legge chiarisca che fra un turno e l’altro ci sia l’obbligo di rispettare 11 ore di stop. Diaz avrebbe inoltre lavorato 65 ore durante la settimana, 17 in più di quanto stabilito per legge. Altri colleghi avrebbero svolto le stesse prestazioni pur avendo contratti part-time e per questo motivo il giudice ha deciso di rinviare a giudizio l’imprenditore Diana, che dovrà rispondere di tutte le accuse su un caso riaperto dopo 4 lunghi anni.