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Cronaca

Abramovich, tutti i motivi che avrebbero spinto all’avvelenamento

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Marco Ercole

Nell’ultimo mese la posizione del presidente del Chelsea è stata molto controversa ed equivoca: da fedelissimo di Putin, l’oligarca russo ha preso parte ad azioni volte alla pace che non sono piaciute al Cremlino

Un avvertimento chiaro per il proprietario del Chelsea Roman Abramovich, scomodamente in bilico tra il suo ruolo di fedelissimo di Vladimir Putin e quello di potenziale mediatore con l’Ucraina. Un avvelenamento (in dosi modeste) dovuto ad acqua e cioccolato, cioè le sole cose ingerite da lui e dagli altri diplomatici ucraini lo scorso 3 marzo. Sono tanti gli aspetti che mettono a rischio l’oligarca russo, a partire dalle sue origini ucraine, certificate dalla nonna Faina Mikhailenko, nata e cresciuta a Kiev, al pari di suo marito Vasily.

Roman Abramovich al fianco di Vladimir Putin (Ansa)

Era scappata dall’Ucraina nel 1941 per evitare l’avanzata delle truppe naziste e salvandosi da quello che passò poi alla storia come il massacro di Babyn Yar (dove vennero uccisi 3mila ebrei ucraini). E insieme alla signora Faina c’era anche la piccola Irina, che venticinque anni più tardi mise al mondo Roman.

Una posizione controversa

Roman Abramovich, oligarca russo proprietario del Chelsea (Ansa)

Ma di certo non c’è il solo sangue ucraino dentro il suo corpo a metterlo in una condizione di pericolo: ci sono anche i fatti recenti, come lo schieramento contro Putin di sua figlia Sophia al momento dello scoppio della guerra, ma anche la proposta (arrivata secondo le indiscrezioni solo dopo l’avallo del Cremlino) dello stesso Abramovich di svolgere un ruolo da mediatore con Zelensky, che successivamente spiegò quanto Roman fosse parte di un “sottocomitato che aveva esteso il suo ambito di azione alle questioni umanitarie”, occupandosi anche di facilitare con risorse proprie l’evacuazione dei civili da Mariupol. Insomma, come se si fosse schierato senza però ammetterlo alla luce del sole. Poi, mercoledì scorso, Abramovich è andato da Putin per consegnare una nota scritta a mano da Zelensky in cui erano elencate le condizioni per porre fine alla guerra. La replica non sarebbe stata di quelle incoraggianti: “Digli che lo distruggo“. A prescindere da questa risposta, però, è l’insieme di tutte queste cose che ha fatto finire il presidente del Chelsea in una condizione molto pericolosa. Un rischio di cui era perfettamente consapevole dall’inizio, perché conosce bene Putin, è anche grazie a lui che si è costruito il suo impero dorato. E quello che è adesso è “solo” un modesto avvelenamento, non è altro che un segnale in linea con tutto questo.

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Marco Ercole