Il professor Agostino Bruzzone, esperto di cybersecurity, ha parlato della situazione attuale della sicurezza informatica legata alla guerra in Ucraina.
“‘Si vis pacem para bellum’: se vogliamo la pace informatica, dobbiamo prepararci alla guerra”. Queste le parole di Agostino Bruzzone, capo di Strategos, il corso di laurea dell’Università di Genova in Engineering Technology for Strategy and Security. In un’intervista all’AdnKronos, il coordinatore di Strategos, esperto di cybersecurity, ha spiegato cosa bisogna fare, a livello nazionale, per difendersi da una possibile guerra informatica.
Nello scenario che si prefissa, a livello mondiale, nell’ambito della cybersecurity, “rispetto al mondo tradizionale, la grossa differenza è che sostanzialmente siamo tutti sul campo di battaglia, perché il dominio cyber ormai è pervasivo. E questo ci espone a vulnerabilità”. L’uso di password non propriamente sicure, oltre ad elettrodomestici smart collegati agli account che usiamo per tutto, le “mine” a livello informatico sono ovunque. Il problema è che si possono generare degli “effetti a cascata” che danneggerebbero infrastrutture strategiche, servizi sanitari, finanziari, e addirittura il traffico.
Essendo il pericolo dappertutto, chiaramente, la risposta comune più scontata sarebbe quella di volere, a livello intuitivo, “un equivalente del bunker”. Stando alle parole del professor Bruzzone, non ha senso “avere paura”. Al contrario, bisogna “essere razionali, da un lato ponendo attenzione alle buone norme (da quelle più sciocche come l’attenzione nell’aprire le mail o nel modificare le password), dall’altro sviluppando capacità difensive, che prevedano anche la capacità di reagire, perché la spada di solito è più forte dello scudo”.
A livello concreto, questo si traduce in degli “investimenti sulla formazione”. Parliamo di investire su “quadri, dirigenti e decisori, per sensibilizzarli sulle conseguenze delle minacce cyber”, ma chiaramente anche “sui nostri ragazzi, che hanno un enorme potenziale, non per trasformarli in cyber soldati, ma in una risorsa preziosa, che renda le aziende e i partner dell’Italia più sicuri di quelli di altri Paesi. Queste sono capacità che hanno un valore strategico per la nazioni”. Tali investimenti sulla formazione aumenterebbero anche la competitività delle imprese.
Per il professore, bisogna investire in modo intelligente sulla cybersecurity nazionale. Nel dettaglio, “la spesa è sicuramente propedeutica, ma c’è bisogno di un cambio culturale e di approccio. L’impero romano vinceva le guerre non perché era più ricco, ma perché più preparato e motivato. Quando anche un piccolo hacker può compromettere una banca, per vincere non serve essere forti, ma investire bene, sull’intelligenza, quella artificiale e ancor prima quella umana”.