Il primo aprile del 2012 il mondo biancoceleste ha pianto la scomparsa della sua figura più rappresentativa
Dieci anni fa il mondo biancoceleste ha vissuto il più traumatico e drammatico Pesce d’Aprile della sua storia. A tarda serata e dopo un week end nefasto (con la sconfitta in casa del Parma per mano di Sergio Floccari, calciatore di proprietà del club biancoceleste, in prestito in Emilia e autore di una doppietta), arrivò la tragica notizia della morte di Giorgio Chinaglia. Un pugno nello stomaco per tutti i tifosi. Un momento drammatico al quale nessuno si è ancora oggi abituato.
In 122 anni di storia, Giorgio Chinaglia è stato uno dei giocatori più amati dal pubblico biancoceleste. O forse sarebbe più giusto dire che difficilmente troveremo un calciatore a cui i tifosi hanno voluto più bene. Questo perchè Chinaglia faceva di tutto per farsi amare e idolatrare. In un periodo difficile, con la Lazio perennemente in lotta tra la serie A e i cadetti, Chinaglia riuscì a fare riemergere la vera essenza della lazialità! Con i suoi gol, il suo carattere da leader, i suoi atteggiamenti da indomito guerriero, fece uscire fuori dal guscio un popolo che sembrava schiacciato dai rivali.
Ecco spiegati i motivi che ne hanno fatto un idolo per i suoi tifosi e un nemico da sconfiggere in tutti i modi (anche ai limiti della legge) per gli avversari cittadini. Chinaglia è stato il leader della Lazio scudetto. Il figlio adottivo di Maestrelli, che lo ospitò spesso a casa sua e che cercava in tutti i modi di tranquillizzare, proteggere ed esaltare. Il capocannoniere della squadra e del campionato. Il centravanti temuto e fischiato da tutte le tifoserie italiane. L’avversario, o forse meglio dire il nemico, che i romanisti aspettavano sotto casa e che lui allontanava sparando colpi di pistola per aria.
Il giocatore che sfidò un’intera curva romanista esultando sotto di loro con il dito alzato dopo un gol, o quello che all’ingresso in campo metteva il piede fuori dal sottopassaggio sfidando i tifosi avversari a colpirlo, lanciandogli di tutto. L’unico giocatore ad essere convocato in nazionale (bagnando il suo esordio con un gol) nonostante giocasse in serie B. Il calciatore a cui Rino Gaetano dedicò una strofa di un suo celebre brano e che mandò a quel paese il tecnico della nazionale dopo una sostituzione. Chinaglia era il leader di uno dei due spogliatoi di Tor Di quinto. La leggenda narra di due gruppi ben divisi. Da una parte Chinaglia con Wilson, dall’altra Re Cecconi con Martini. Se un gruppo a pranzo ordinava il primo, l’altro doveva mangiare carne. Se un componente di un gruppo rimaneva senza shampoo e provava a chiederlo ad uno dell’altro spogliatoio, rischiava di essere malmenato.
Le partite in famiglia erano molto più combattute di quelle che si giocavano la domenica. Era più facile infortunarsi durante queste sfide che in campionato. Se la squadra di Chinaglia era sotto di un gol, Maestrelli era spesso costretto a prolungare il gioco fino al raggiungimento del pareggio. Chinaglia, durante i ritiri prepartita, era solito giocare a carte con Maestrelli, che a sua volta era costretto a farlo vincere per mandarlo a letto sereno prima della gara. Chinaglia era anche il giocatore con maggiore peso specifico all’interno dello spogliatoio e che si batteva per i diritti dei suoi compagni e dei magazzinieri.
Fu lui a battere il calcio di rigore decisivo contro il Foggia, che regalò lo scudetto alla Lazio e mandò in delirio il pubblico biancoceleste. Nella sua storia laziale si alternano momenti esaltanti a decisioni dolorose. Dopo aver vinto lo scudetto ed essere stato il trascinatore della squadra, Chinaglia, sedotto dai dollari americani e in preda alla nostalgia per la lontananza dalla bella moglie statunitense (tornata in America per sfuggire alle minacce e agli attacchi dei denigratori del marito) decide di lasciare la Lazio, abbandonando una squadra con un piede e mezzo in serie B, per andare a giocare negli States.
Poi, qualche anno più tardi, spinto dall’amore verso i colori biancocelesti, torna per diventarne il presidente. Ma la sua esperienza (accolta con un incredibile entusiasmo dai sostenitori) si trasforma in un incubo. Con Chinaglia alla guida della società la Lazio ottiene una salvezza stentata e una rovinosa retrocessione, accumulando una lunga serie di debiti che lo costringono a cedere i pezzi pregiati della squadra e infine il pacchetto azionario. Nel 2005, a distanza di venti anni, Giorgione tenta nuovamente la scalata ai vertici societari. Ma mentre negli anni ottanta trovò una strada libera per arrivare alla presidenza, questa volta tra lui e la società che ama, c’è uno scoglio insormontabile: Claudio Lotito, presidente della Lazio, per nulla intenzionato a cederne il controllo.Per mesi i tifosi assistono a scontri dialettici e a mosse imprenditoriali che non portano a nulla, se non ad una divisione netta della tifoseria e a problemi molto seri per tutte le persone che lo seguirono.
Chinaglia resta ancora oggi uno dei personaggi più amati della storia laziale. I tifosi che lo hanno visto giocare lo considerano quasi un dio. Il trascinatore che nel 2000, in occasione dei festeggiamenti per il centenario della società, venne premiato dai tifosi come il laziale del secolo. Il condottiero che, nel giorno della sua prematura scomparsa, ha fatto piangere i laziali di ogni generazione. Oggi riposa al fianco della sua famiglia acquisita: il papà e il fratello che si era scelto durante la vita. I due personaggi che non erano legati a lui da vincoli di sangue, ma dal calore e l’affetto che era cresciuto nel corso degli anni. Giorgio è con Maestrelli e Pino Wilson. “Abbiamo trasformato quella cappella nel terzo spogliatoio della Lazio dello scudetto”, ci ha confidato Massimo Maestrelli qualche giorno fa. Uniti, imbattibili….profondamente laziali.