Il presidente rilancia: “Vinceremo e fermeremo ai confini del nostro paese la follia gender che serpeggia nel mondo occidentale”
Ci siamo. Il giorno tanto atteso in Ungheria è finalmente arrivato. Per qualche ora, o forse più, sempre se non succede qualcosa di più grave e importante in Ucraina, l’attenzione dell’Europa si sposterà in Ungheria. Si, proprio da quelle parti domani è previsto il vito per il rinnovo del Parlamento, ma anche per esprimersi nel referendum sulla legge che impone il divieto di propaganda Lgbt. Se la vittoria del premier uscente Viktor Orbán è data praticamente per scontata, nonostante il calo di gradimento testimoniato dai sondaggi, il tanto temuto momento della verità sui diritti gay e gender è arrivato.
A giugno 2021 il Parlamento ungherese ha approvato (con 157 voti a favore e solo uno contrario) un emendamento proposto dal partito di estrema destra Fidesz, che vieta la condivisione di qualsiasi contenuto che promuova l’omosessualità o il cambio di sesso, in contesti pubblici come scuole e televisioni, a chiunque abbia meno di 18 anni. La nuova norma, secondo Orban, ha come scopo ufficiale quello “di garantire la protezione dei diritti dei bambini. La pornografia e i contenuti che raffigurano la sessualità fine a se stessa o che promuovono la deviazione dall’identità di genere, il cambiamento di genere e l’omosessualità non devono essere messi a disposizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni”. Contenuti che potranno comunque andare, tranne nelle scuole e nei luoghi di educazione, così come nelle pubblicità, in tv solo ed esclusivamente tra le 22 e le 5 del mattino.
“Proteggeremo le nostre famiglie, un padre è un uomo, una madre è una donna. Punto e basta”
Certo, continua a fare ancora scalpore nonostante sia passato più di un anno e mezzo, lo scandalo che riguarda l’ex europarlamentare Jozsef Szajer, uno degli autori del testo del referendum e tra i fedelissimi di Orbán, che sul finire del 2020 è stato arrestato a Bruxelles per aver violato le restrizioni anti-coronavirus partecipando a un festino gay con altri 24 uomini. Proprio, un festino gay. Per Orban non è stato il massimo, ma ora il presidente si gioca il quarto mandato non solo in Parlamento ma anche sul referendum.
“Proteggeremo le nostre famiglie: un padre è un uomo, una madre è una donna e lasciate stare i nostri figli” e anche: “Vinceremo e fermeremo ai confini dell’Ungheria la follia gender che serpeggia nel mondo occidentale”, le parole pronunciate ieri nell’ultimo giorno di campagna dallo stesso Orban davanti a quasi centomila persone. Nel frattempo l’organizzazione All Out, che si batte in difesa dei diritti umani di tutti coloro che rientrano nelle comunità Lgbt, insieme a una coalizione di organizzazioni ungheresi guidate da Háttér Society e Amnesty International Ungheria, nella serata di mercoledì 30 marzo ha illuminato un palazzo della capitale Budapest con un’enorme proiezione in cui si invitava a votare scheda nulla al referendum. L’unione Europea guarda con molta attenzione ciò che accadrò in Ugheria, tanto che se dovesse vincere la parte di Orban sul referendum la Comunità Europea potrebbe decidere di attuare delle sanzioni contro la stessa Ungheria per una legge discriminatoria che non ha nessun paese dell’Unione.