L’allarme lanciato dal Presidente Carlo Bonomi: l’anno che arriva rischia di presentarsi, per l’economia italiana, molto più nero di quanto preannunciato.
Per il leader di Confindustria Bonomi, “nello scenario migliore avremo un Pil 2022 dimezzato all’1,9 per cento e all’1,6 per cento nel 2023, con due trimestri di recessione tecnica”. Mentre invece “nello scenario peggiore, nel 2023 saremo in recessione conclamata”.
Un orizzonte insomma tutt’altro che roseo che Bonomi ha prospettato alla presentazione del rapporto di previsione del Centro studi di Confindustria, parlando di un “serissimo allarme per istituzioni e politica”. Senza contare che ad esempio a causa del caro energia “già il 16,4 per cento di imprese ha rallentato”, e che “un altro 30 per cento sospenderà o ridurrà la produzione”.
Il calendario per il recupero della produzione pre-Covid si sposterebbe quindi al 2023, nella speranza che ciò accada nel primo trimestre. Una produzione che, non bastasse, in Italia era già molto al di sotto dei livelli attestati prima della crisi finanziaria del 2009. Dati e numeri che per Confindustria letteralmente “spaventano” e che fanno luce su un destino ben più amaro di quanto invece verrà immaginato nel Def che si attende per martedì o mercoledì.
In sostanza, per la confederazione degli industriali vi è una “revisione significativa” delle stime prospettate dal ministro dell’economia Daniele Franco. Anche i calcoli del Mef parlano di un primo trimestre negativo, che però scommette sulla ripresa nella seconda parte dell’anno. Un colpo che per il direttore del Csc Alessandro Fontana colpisce l’Europa molto più di altre aree del mondo, facendo registrare -1,5 per cento rispetto al -1 per cento globale.
Una crisi che nello specifico investe quei settori che sono a utilizzo più intenso di energia, come metallurgia, chimica, ceramica, vetro e carta, e che compongono una parte molto consistente della manifattura italiana.