La provocazione di Libero, Carbone e trivellazioni: il Paese deve accelerare su indipendenza dai russi, senza inseguire il mito delle rinnovabili
La provocazione e la domanda che si pone il quotidiano Libero fa riflettere, soprattutto in questo momento dopo le parole di Draghi e con l’urgenza di trovare un’indipendenza dai russi sulle energie. Il bivio proposto dal presidente del Consiglio, pace o condizionatori, non è solo una semplificazione forse efficace ma un po’ fuorviante. “È soprattutto il frutto degli orrori di Bucha, che hanno spostato il dibattito dal come liberarci del gas di Putin senza mandare in bancarotta il Vecchio continente e, in particolare l‘Italia, al quando troveremo il coraggio di smettere di finanziare i massacri dello Zar versandogli circa un miliardo al giorno per le forniture di combustibili“, sottolinea il quotidiano Libero.
Fino a qualche giorno fa non si parlava d’altro che dei piani per la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, del Gnl in arrivo dagli Usa, delle navi che sta acquistando Snam per rigassificare il metano e, soprattutto, delle misure che dovrebbe mettere in atto l’Europa per prevenire la carenza delle materie prime e l’inevitabile impatto sui prezzi che deriverebbero dallo stop al gas di Putin. Le testimonianze delle atrocità che continuano quotidianamente ad arrivare dall’Ucraina alimentano però l’emotività e moltiplicano gli appelli a farla finita. “Pensiamo che qualunque sanzione che danneggerebbe noi più di quanto danneggerebbe la Russia non sarebbe giusta».
Siamo proprio sicuri che senza i nostri soldi Putin alzi bandiera bianca? È tutto da vedere. Quello che accadrà a noi, però, lo sappiamo. “Una ricognizione presso i primi 10 produttori globali mostra quanto sarebbe difficile fare a meno del gas russo nel mix energetico europeo, senza imporre drastici tagli ai consumi dell’industria“, scriveva il Financial Times, “che farebbero crollare la crescita economica“. Quello che accadrà all’Italia, numeri alla mano, è stato messo nero su bianco dal governo nel Def appena licenziato: nei prossimi due anni 570mila occupati in meno e 75 miliardi di crescita che andranno in fumo. Come sintetizza la leader di Fdi, Giorgia Meloni: “Quando tu sei in un conflitto devi cercare di colpire l’avversario invece di tirarti delle mine sui piedi. Dobbiamo capire come possiamo reggere noi un eventuale embargo di gas“.
E questo è proprio quello a cui nessuno sta più incredibilmente lavorando. In Italia si era parlato di rimettere in funzione le centrali a carbone. Apriti cielo. “Lo faremo solo se sarà strettamente necessario“, si è dovuto affrettare a spiegare Roberto Cingolani per evitare le critiche di chi ora, come il Pd, chiede l’embargo totale a Putin. Alla fine si è scoperto che si può lavorare solo su pozzi già autorizzati per riavviare o rimpolpare la produzione. E c’è, infine, addirittura chi pensa di superare il ricatto di Putin a colpi di rinnovabili. Insomma, mentre Boris Johnson di fronte alla minaccia Russa annuncia senza pensarci due volte sette nuove centrali nucleari (sacrilegio!), noi continuiamo a spaccare il capello in quattro, apparecchiando la catastrofe quando, perché presto o tardi ci si arriverà, chiuderemo le importazioni di metano russo. Peggio di noi, però, fa quell’Europa che ieri si è schierata in massa a favore dello stop al gas di Mosca. Come non c’è mai stata quella sull’unica misura che forse ci permetterebbe di sopravvivere economicamente ai contraccolpi di un embargo energetico totale contro la Russia: un Recovery bis di guerra. Ecco, di fronte all’esigenza di affamare lo Zar ci saremmo aspettati un’accelerazione incredibile non su una, ma su tutte queste misure. Per evitare che insieme al condizionatore si spenga pure l’Italia.