Sulla polemica tra l’ambasciatore ucraino e l’arcivescovo metropolita di Kiev e capo della Chiesa greco-cattolica e la Santa Sede, legata alla presenza di una famiglia ucraina e una russa durante la Via Crucis indetta dal Papa al Colosseo, è intervenuto con Notizie.com don Renato Sacco, membro del consiglio nazionale dell’associazione Pax Christi.
“Quel segno di due donne, in rappresentanza delle vittime di entrambe le parti della guerra, è un segno che parla da solo. È l’umanità in mezzo alla guerra, della lontananza tra la gente e il potere”, ha affermato il sacerdote, da decenni impegnato sul fronte del pacifismo che si nutre alla fonte del Vangelo e della Parola di Cristo, da cui il nome della storica associazione cattolica.
Ieri infatti è scoppiata la polemica tra l’ambasciata ucraina e la Santa Sede, a seguito del tweet dell’ambasciatore che ha polemizzato apertamente con il Vaticano contro “l’idea di mettere insieme le donne ucraine e russe nel portare la Croce durante la Via Crucis di venerdì al Colosseo”. A seguito del quale sono arrivate anche le parole dell’arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, che ha descritto la decisione vaticana come “inopportuna”.
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“Abbiamo trasmesso alla Santa Sede l’alta indignazione degli ucraini di tutto il mondo, penso che si tratti di un’idea inopportuna“, ha detto Shevchuk, non considerando l’intento del Papa di fare incontrare, durante la Settimana Santa e sotto la croce che fa memoria della Passione di Cristo, i due popoli vittime del lacerante conflitto. Per Sacco, la questione è molto chiara: “L’ambasciata dell’Ucraina ha fatto un intervento di potere”. “In quest’orizzonte di tragedia, morte, bombe, torture, stupri, di armi, con il coinvolgimento anche dell’Italia di fornire le armi, queste due donne ci aiutino a intravedere il sepolcro vuoto della Resurrezione”, dice don Sacco a Notizie.com.
Il religioso ha portato l’attenzione sul ruolo della Chiesa all’interno del conflitto e sulla “responsabilità, essendo fuori, di capire qual è il modo migliore di aiutare”. “Anche quando eravamo a Sarajevo la situazione era analoga”, spiega. “Io sono stato lì nei quattro anni di assedio, noi siamo andati durante quell’evento drammatico con la marcia dei cinquecento, nel 1992, e anche lì c’era chi ci chiedeva le armi. Ma il nostro ruolo è di richiamare a valori diversi, non di essere travolti da questa spirale”.
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A tal proposito, don Sacco ricorda la testimonianza dell’allora vescovo di Sarajevo, Mons. Pero Sudar, che disse: “Anche io credevo nella logica delle armi, ma ora ho capito che è la scelta sbagliata”. “Per uscire dalla guerra bisogna cominciare a fare incontrare le persone”, commenta così in conclusione don Sacco. “Il gesto della Via Crucis credo che sia umanamente realistico e profetico allo stesso tempo”.