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Sport

Sci, Goggia: “Odio le bambole. Transgender in gara con noi? Non è giusto”

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Daniele Magliocchetti

La campionessa parla al Coriere della Sera: “Credo in Dio. Brignone? Rapporto civile, ma sua mamma…Lo studio? Ora devo fare un esame universitario con il prof Orsini”

Una campionessa, una fuoriclasse dello sci dell’epoca moderna, ma anche e soprattutto una donna con le sue idee, la sua cultura, i suoi ricordi, le sue emozioni e l’amore. Poche come lei, quando cade, si rialza, sempre. E ancora più forte che mai. Sofia Goggia si confessa come mai aveva fatto in una lunga e bella intervista al Corriere della Sera. “Il primo ricordo? La baita sopra Cogne, dove salivamo d’estate. Papà aveva comprato dei ruderi per andare a caccia. Un bivacco a 2.241 metri: niente telefono, niente elettricità; candele e acqua di sorgente. Sono gelosa di quella baita: mi dà il senso dell’essenziale. La gente è chiusa, ma se la conquisti diventi di famiglia. Ancora adesso si dicono, in patois: è arrivata Sufei“. Ma c’è anche un ricordo che non dimenticherà mai: “Per la mia generazione è l’11 settembre. Ero sulle mura di Bergamo con mia mamma, stavamo andando a trovare la zia. Incontrammo una signora che aveva il figlio in America, e ci raccontò tutto”. Papà e fratello ingegneri, mamma insegnante. “Io sono Ezio. Sono mio padre. Ingegnere e artista: una figura ossimorica. Adesso ha una mostra di tele a olio ispirate a Hermann Hesse, qui in città alta. Entrambi i genitori sono due martelli orobici: quando si mettono in testa una cosa, la fanno. Ma la sregolatezza l’ho presa da papà”.

La campionessa di sci Sofia Goggia (foto Ansa)

La Goggia si racconta sin da quando era piccola: “Se giocavo con le bambole? Le odiavo. Ho la fobia delle bambole. Un vicino che mi era affezionato mi regalò una Barbie; la gettai dal terrazzo. Io volevo giocare a calcio con mio fratello Tommaso. E poi il nuoto, il tennis. Il pianoforte, più strimpellato che suonato. La moto, da enduro. Ma le bambole no. Ancora oggi, quando entro in certe pensioni austriache che ti propinano bambolotti di qua e di là, mi prende il terrore”. E poi lo scii: “Ho iniziato a 4 anni. Gli sci avevano le righe, tipo burberry, e sulle punte due orsetti che stringevano un cuore”. È vero che da bambina cadde dalla seggiovia? “Ero molto piccola. Mi sono seduta in un angolo, gli altri erano più pesanti e sono saliti tutti insieme, così sono scivolata. Però mi sono aggrappata con le mani al poggiapiedi. Mi tirarono giù con la scala”. L’avvento con lo psicologo: “Il primo ce lo diede la federazione, ora è consulente alla Juventus. Poi ne ho cercato uno a Bergamo. Ora sono approdata a una psichiatra di Brescia. All’Olimpiade in Cina avevo ancora una paura latente per la caduta di Cortina, e abbiamo usato il tapping”. Cos’ è il tapping? “Una tecnica per rivivere l’esperienza e rimuoverla. Incroci le braccia, le dita si appoggiano alla rotula, ti immergi nella sensazione brutta, e scandendo un ritmo dettato dallo psicologo enfatizzi la paura e la sostituisci con l’azione giusta”.

“Uno dei miei segreti? Canticchio mentre scio, ma in Cina non l’ho fatto, ma di solito canto Despacito, Hola di Mengoni e ho fatto anche Sapore di Fedez”

Il momento in cui Sofia Goggia ha mostrato la medaglia d’argento vinta in discesa (foto Ansa)

Ma è vero che canta mentre scia? “Si, canticchio. Despacito. Hola di Mengoni. Quest’ anno a Lake Louis sono scesa cantando Sapore di Fedez. Pure all’Olimpiade? No, all’Olimpiade silenzio assoluto”. Un infortunio può diventare una forza? “Nei campioni l’infortunio riflette quasi sempre un conflitto emotivo interiore. Si chiama causazione adeguata. Dipende da qualcosa che hai dentro, su cui devi lavorare. Ci sono atleti martoriati, e altri che non hanno mai nulla“. L’infortunio a Cortina: “Prendo una cunetta in curva, faccio una spaccata a cento all’ora, il piede sinistro mi gira, una capovolta a terra, ed ecco il patatrac. Sento subito il male da “tirone” al crociato. Ho spaccato uno sci e un attacco. Chiamano il toboga ma non lo voglio, a Cortina non posso scendere se non con le mie gambe. Però non sento più le ginocchia, scio solo con i piedi». Cos’ha pensato in gara? “A nulla. Quando all’arrivo vedo che sono prima caccio quell’urlo formidabile, quel grido di liberazione in cui c’è tutta la mia essenza, tutto il sangue che ho sputato in quei 23 giorni, tutto il dolore che prima non potevo permettermi di sentire ma poi mi dico subito che quattro decimi di vantaggio sulla Nadia Delago sono pochi».

Poi ci sono state le parole di Maria Rosa Quario, campionessa della “valanga rosa” e mamma di Federica Brignone che ha espresso dubbi sulla gravità del suo incidente di Cortina? “Ci sono rimasta malissimo. E ho chiesto alla clinica di mandarmi il referto, così da farlo vedere. Com’ è possibile, mi sono chiesta, che accada questo? Che vengano messi in discussione i medici, i verdetti di strumentazioni all’avanguardia? E questo solo perché l’impresa che ho fatto va oltre gli standard a cui siamo abituati“. Come sono davvero i suoi rapporti con Federica? “Cercherò di andare avanti in un rapporto di civiltà condividendo quello che c’è da condividere, cercando di imparare da lei a livello sciistico. Da sempre dico che Federica mi ha spronato a dare il meglio di me. Prendo il buono dalla situazione“. Quando ha avuto il primo grave incidente? “A 14 anni mi si è girato il ginocchio, in gigante, e mi sono fatta il crociato destro». Dietro l’oro olimpico c’è la storia del tappo. “Alle preolimpiche in Corea, insieme con l’ambasciatore italiano, arriva una scienziata. Brindiamo a lambrusco e lei mi dice: tieni il tappo, me lo ridai l’anno prossimo, quando vincerai i Giochi. A casa mia mamma per poco non me lo butta via. Lo porto in Corea, ma per il superG lo dimentico, e perdo: sono in testa, mi lascio prendere dal piacere di sciare, commetto un errore. Per la libera infilo il tappo nella tasca destra della giacca. E all’arrivo trovo lei, la scienziata, che me lo chiede“. E dopo? “Sono salita sulla montagna, mi sono arrampicata su un albero, ho scritto le mie emozioni sul diario, e ho pianto“. Lei crede? “Vado in chiesa, in Duomo, da don Fabio. Mi piace pensare che ci sia qualcosa”. Lei studia all’università. “Scienze politiche alla Luiss. Ora devo dare l’esame con il professor Orsini. Le sue idee sulla guerra? Le trovo stimolanti. Dobbiamo sempre preferire la discussione alla propaganda“. Come mai è ancora single? “Ho avuto un unico grande amore. Una relazione complicata, finita malissimo. Sono caduta in una di quelle situazioni che mai avrei pensato di vivere. Ho sofferto tanto, mi ha devastata. Ora non ci penso, finché gareggio. Poi magari mi innamoro domani mattina“. Sarà corteggiatissima. «Ho sempre cercato uomini più maturi di me”. Si considera femminista? “Credo che le donne debbano lottare per i loro diritti, compresa la parità di retribuzione. Ma le donne sono donne; gli uomini, uomini. Non mi piace quando dicono: donna con le palle. Perché devi giudicarmi da quello che non ho, che non sono?“. È giusto che i transgender gareggino con le donne?A livello di sport, un uomo che si trasforma in donna ha caratteristiche fisiche, anche a livello ormonale, che consentono di spingere di più. Non credo allora che sia giusto”

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Daniele Magliocchetti