Sedicimila i lavoratori che hanno spostato la propria residenza fiscale nel nostro Paese. È il dato riscontrato dalle dichiarazioni dei redditi fatte l’anno scorso (circa un terzo in più rispetto al 2020).
Una crescita che diventa del 92,4% se la considerazione si allarga agli ultimi 4 anni d’imposta. Sta diventando attrattiva l’Italia, il vantaggio esiste eccome per chi decide di tornare: il Fisco si accontenta di tassare il 30% del reddito, con l’imponibilità addirittura solo al 10% se ci si stabilisce in una regione del Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia).
Tra i motivi che spingono i regimi di favore c’è quello di riportare in Italia una parte dei “cervelli in fuga”, vale a dire lavoratori qualificati (rappresentano un “capitale umano” che può sostenere lo sviluppo economico, culturale e scientifico della nazione) o “paperoni” che hanno una grande capacità di spendere. Il regime agevolato riguarda anche quelli che vengono definiti “lavoratori impatriati”, dipendenti e autonomi che trasferiscono la residenza in Italia, e per i redditi d’impresa prodotti da coloro che avviano la propria attività in Italia partendo dal periodo d’imposta successivo a quello in corso.
L’agevolazione, appunto, prevede una tassazione del 30% per 5 anni o al 10% nel Meridione. Un regime prorogabile per altri 5 anni (a determinate condizioni) e con l’imponibile che arriva al 50% (10% in caso di lavoratori con almeno tre figli minorenni o a carico). Nel 2020 ci sono stati quasi 15 mila “impatriati”, rappresentati soprattutto da manager che rientrano grazie a un’offerta di un’azienda italiana.
Poi c’è la “flat tax dei paperoni”. È un’imposta fissa e non una flat tax di 100mila euro all’anno come tassazione per i redditi prodotti all’estero per il contribuente che vi aderisce e a soli 25 mila euro per ciascun suo familiare. Dura 15 anni e ha bisogno di un unico requisito. Quello di risultare residenti all’estero almeno per i 9 anni precedenti il trasferimento della residenza in Italia. Insomma, una norma molto conveniente per i contribuenti stranieri che mantengono all’estero i patrimoni e le aziende. Nel 2020 i paperoni in questione sono stati circa 400.
L’Italia, infine, ha cercato di attrarre i pensionati stranieri e italiani che non risiedono in Italia. Il nostro Paese, dal 2019, riconosce una tassazione del 7% per 5 anni circoscrivendo l’area in cui trasferirsi per almeno 183 giorni l’anno nei comuni meridionali con meno di 20 abitanti. Il risultato? Nel 2020, stando alle dichiarazioni dei redditi, hanno aderito a questo vantaggio 159 persone per 4,6 milioni di euro di pensioni.