Per la seconda volta, la Francia lo sceglie e non cambia, ma il rischio è stato reale e lui deve fare i conti con l’astensione record
Un bel sospiro di sollievo, ma quanta paura di non farcela, almeno fino a una decina di giorni fa. La rabbia e la delusione stavano prendendo il sopravento su tutto, fino a spingere Marine Le Pen, ma poi Emmanuel Macron, con un colpo di coda, è riuscito a farcela, forse per una specie di rotto della cuffia, nonostante il cinquanta e passa per cento che non deve ingannare. Lui lo sa bene che stavolta ha rischiato di non restare all’Eliseo. Alla fine solo sorrisi e tante belle parole, ma Emmanuel e la moglie Brigitte sanno di aver rischiato e questo timore proveranno a portarlo avanti per fare le cose meglio e non tralasciare nulla. E’ arrivato sotto la torre Eiffel quando è ormai buio. Un’altra marcia trionfale, come cinque anni fa nel cortile del Louvre sulle note dell’Inno alla gioia di Beethoven, l’inno europeo. Mano nella mano con la moglie Brigitte, avanza circondato da un gruppo di bambini e ragazzi. Come a voler significare che inizia una fase nuova, il messaggio che cerca di lanciare anche nel breve discorso della vittoria: una decina di minuti appena, per ringraziare e rassicurare che “non sarà la continuazione dei cinque anni trascorsi ma un’invenzione collettiva“, promette “un’era nuova”.
Macron alla fine è stato rieletto presidente della Francia con il 58,50 per cento dei voti e lui non si fa sconti anzi: “So che ci sono cittadini che mi hanno votato oggi non per le mie idee ma per sbarrare la strada all’estrema destra. Voglio dire loro che questo voto m’ impegna per i prossimi anni“. Ma sa di dover pensare anche a chi si è astenuto, e neanche poco, tanto che lui stesso on lo dimentica affatto “al loro silenzio vanno date risposte”. Alla folla festante non ha lasciato tante parole.
Una vittoria importante e decisiva, ma non schiacciante come poteva immaginare. Nei sondaggi è sceso, la Francia, nonostante l’abbia scelto per la seconda volta, non stravede proprio per Macron, ma è sicuramente meglio e più morbido della Le Pen. Almeno il ragionamento fatta dai francesi sembra essere stato proprio questo. Non è il 66 per cento del primo mandato, quando, outsider della politica semisconosciuto, gli vennero consegnate sulla fiducia le chiavi dell’Eliseo. Ma anche questa volta il margine è ampio, nonostante sia la terza volta in vent’ anni che un Le Pen arriva al ballottaggio e il “Fronte repubblicano” per sbarrargli la strada venga vissuto ormai da molti come una sorta di ricatto.
Molti di loro, alla fine, hanno scelto, ma allo stesso tempo Macron dovrà ricordarsi dell’astensione record, la più alta da 53 anni a questa parte, e dei tanti voti arrivati solo per fermare Le Pen. Se ne dovrà ricordare anche in futuro. È stato quando, al primo turno di due settimane fa, i sondaggi hanno registrato una quasi parità possibile – 51 a 49 – che Macron, fin lì praticamente assente dalla campagna elettorale, è diventato davvero il candidato. Ed è lì, probabilmente, che è diventato il candidato ideale dei francesi, soprattutto per mancanza di vere alternative e in contrapposizione a Marine Le Pen che ha comunque preso una valanga di voti. E su questo in Francia i timori non mancano. Ma Macron, vista la paura, si è messo in maniche di camicia su e giù per la Francia, nella banlieu che ha plebiscitato Mélenchon come nel cuore della Francia rurale, per il 44enne mai eletto a nulla prima di essere presidente, fondatore di un movimento che dal niente ha sbaragliato le famiglie politiche tradizionali è stato tutto un incontro, un bagno di folla. A tentare di spogliarsi di quell’immagine algida di presidente lontano e arrogante che, in cinque anni, gli si è attaccata addosso e on se ne è più andata via, forse un po’ l’altra sera. Ma solo un po’. Ora, come lui stesso ha detto dal palco, sa bene che gli spetta il compito di riconciliare il Paese, ricucire le divisioni che esistono profonde nella società francese.