Il cardinale Parolin in un’intervista al quotidiano La Stampa boccia sonoramente la politica dei muscoli e della contrapposizioni, continuamente avversata anche da Papa Francesco nei suoi interventi.
L’appello del Segretario di Stato della Santa Sede è a impegnarsi di più sul lavoro diplomatico e meno sulle armi. Alla domanda se è vero che solo attraverso l’utilizzo delle armi, suffragata dal motto latino “si vis pacem para bellum” che si ripete in continuazione in queste settimane, Parolin è categorico e risponde con spirito amareggiato.
“Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”, “prima fanno il deserto e poi la chiamano pace”. Il messaggio del cardinale è quello della Chiesa cattolica che oggi più che mai, nel mondo globale e della logica delle grandi potenze, si fa attore e promotore di una pace reale e concreta, non solo spirituale, che possa mettere a tacere il grido dell’odio e della violenza, in nome della serenità e della fratellanza tra i popoli. Tema peraltro dell’ultima enciclica di Papa Francesco, “Fratelli tutti”.
Per Parolin l’unica pace a cui portano le guerre è proprio “quella del deserto”, o meglio “del cimitero, perché costruita sopra le macerie di tante distruzioni, soprattutto di vite umane, che nella maggior parte sono quelle di bambini, di donne, di anziani e di tanti altri innocenti”. Insomma, un secco no all’idea di contrapporsi giorno dopo giorno nella direzione di un’escalation che si fa sempre più prossima.
Che è in sostanza non solo ovviamente l’atteggiamento russo ma anche la linea occidentale della contrapposizione, caldeggiata da Biden e Johnson a appoggiata in pieno dall’Italia e dal suo premier Draghi. Per il cardinale, al contrario, “la disponibilità alla risoluzione pacifica dei conflitti è spesso inversamente proporzionale alla forza militare di cui si dispone”.
Di fondo però c’è una questione estremamente delicata, che è quella della decadenza delle democrazie liberali occidentali. “È innegabile che il mondo attuale stia tentando di promuovere un’antropologia che si discosta dalla visione cristiana e che si rispecchia nei “Nuovi diritti”, fondati su un approccio esclusivamente individualista”. Un “grave rischio” riconosciuto anche dalla Chiesa cattolica, ha spiegato il porporato. Ma non può esserci, ha certamente ribadito, un modo violento di contrastarlo.
In tutto ciò, entra così a pieno titolo anche il grande tema del ruolo delle religioni per la pace, con la distanza che aumenta tra Bergoglio e Kirill e la visita del Pontefice a Kiev rimandata a data da destinarsi, solo quando sarà strettamente necessaria a risolvere davvero qualcosa, e non sarà invece una passerella di facciata. L’attività diplomatica della Santa Sede, infatti, continua “a tutti i livelli”, per un “negoziato tra le parti e per “proteggere la vita dei civili”. Con due parole chiave: “rispetto per la vita umana e disponibilità al negoziato”.
Totale sintonia invece con le Chiese in Ucraina, nel condannare fermamente “l’aggressione militare sofferta”. A Kirill però Parolin invia nuovamente il messaggio di Papa Francesco nelle settimane precedenti: “Caro Fratello, possa lo Spirito Sato trasformare i nostri cuori e renderci veri operatori di pace”. Perché “ogni guerra, in quanto atto di aggressione, è un’azione contro la vita umana e, pertanto è un’azione sacrilega” di cui “non si può trovare alcuna giustificazione nella Parola di Dio, che è sempre parola di vita, non di morte”.