1 maggio 1994, ore 14:17, chiunque si ricorderà perfettamente dove era, con chi era e cosa stava facendo, perché in quel momento non solo si stava compiendo il destino del più grande pilota di Formula 1 di sempre, Ayrton Senna, ma si stava chiudendo un’intera epoca degli sport motoristici e nulla sarebbe stato come prima.
Il weekend del Gran Premio di San Marino del 1994 sarà ricordato per sempre come il più nefasto della storia della Formula 1, si concentrarono infatti degli accadimenti talmente tragici, tutti insieme, da far pensare ad un giudizio divino. Si cominciò con il terribile incidente a Rubens Barrichello il venerdì, con il brasiliano che riportò solo parecchie contusioni ed un grande spavento, al dramma del sabato durante le prove, con la fatale uscita di strada alla curva Villeneuve dell’austriaco Roland Ratzenberger con la sua Symtek, alla quale si staccò l’ala anteriore, dopo aver toccato un cordolo nel giro precedente, fino al terribile e fatale impatto di Senna contro il muro della curva del Tamburello al settimo giro della gara della domenica.
Tragica fatalità o fatale disattenzione?
Ayrton Senna perse il controllo della sua Williams schiantandosi contro il muro di protezione della curva posizionata subito al termine del rettilineo del traguardo. La causa dell’incidente, si appurò anni dopo, fu la rottura del piantone dello sterzo che non permise al pilota di curvare e, in quei tragici secondi finali della sua vita, lo ridusse a semplice passeggero della sua vettura. Senna riuscì solo a frenare, riducendo la velocità dai 310 ai 211 km/h, ma senza volante, non riuscì a ridurre l’angolo d’impatto che avvenne per questo praticamente frontale e violentissimo. Durante la collisione una sospensione dell’auto si spezzò portando con sé una gomma che colpì il brasiliano alla testa, causandogli un grave trauma cranico. Ma fatale fu il puntone della sospensione che, spezzandosi, penetrò nel casco e trafisse fatalmente il tre volte campione del mondo alla fronte. Il destino era compiuto e alle 18.40, presso l’Ospedale Maggiore di Bologna, arrivò l’annuncio che il mondo non avrebbe mai voluto ascoltare. Il lungo iter processuale che ne seguì, accertò come precisa causa dell’incidente il cedimento del piantone, con assoluzione del capo degli ingegneri della Williams, Patrick Head, per sopraggiunti termini di prescrizione. Piantone che però si seppe con certezza che fu segato e ridotto artigianalmente dai meccanici della scuderia per dare più conforto al pilota brasiliano dentro una macchina costruita in modo fin troppo estremo.
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— Rick 🏎 (@Deckard_23) April 30, 2019
Un uomo, un pilota, una leggenda
Tre titoli mondiali, 41 vittorie, 80 podi e 65 pole-position, ultima delle quali proprio sul circuito Enzo e Dino Ferrari di Imola dove un uomo, amato non solo dai suoi connazionali, un pilota, universalmente apprezzato per le sue straordinarie doti che non potevano non far innamorare gli appassionati, entrò direttamente dalla porta principale nella leggenda. Senna aveva uno spirito di abnegazione incrollabile che lo ha portato ad essere un esempio, un riferimento per intere generazioni future in Brasile, attraverso le sue attività, ma anche per tutti quelli che hanno solo sentito parlare di lui. Un vincente, uno dedito al suo lavoro assoluto, per lui il secondo posto era il primo dei perdenti, per questo voleva essere solo e soltanto IL MIGLIORE, accettando tutti i rischi che il mestiere che aveva scelto poteva avere.
Un vuoto incolmabile
La sua morte così tragica e improvvisa probabilmente ha inciso ancora di più sul sentimento popolare, lasciando un vuoto talmente incolmabile negli appassionati, nei brasiliani, nello stesso paddock della Formula 1, che ancora oggi il ricordo di Senna è lì, più vivo che mai, alimentato da racconti, narrazioni, ricordi. Anche se l’inevitabile scorrere del tempo e l’arrivo di nuovi idoli potrebbe scalfirne il ricordo, resta l’ammirazione degli appassionati e della gente comune. Quel casco giallo rimarrà per sempre simbolo di coraggio, talento, passione e amore. E’ bello pensare che Ayrton, l’ultimo metro al volante, dell’ultima curva, della sua ultima gara, l’ha affrontato in testa, davanti a tutti, perché lui era il migliore di tutti.