Ristoratore italiano a Londra: “Qui il governo ci ha aiutati davvero” – VIDEO

Igor Iacopini, proprietario del ristorante marchigiano “Rossodisera” a Covent Garden, nel centro della Capitale inglese, ha raccontato in esclusiva a Notizie.com la diversa esperienza nel settore della ristorazione in Italia e in Inghilterra

Mentre in Italia molti ristoratori continuano a combattere per la sopravvivenza delle loro attività, in Inghilterra c’è chi, nonostante le problematiche legate al Covid-19 e agli effetti della Brexit, decide di aprire una nuova sede. Può sembrare un confronto impietoso e fin troppo semplicistico, ma è la reale esperienza raccontata da Igor Iacopini, proprietario di “Rossodisera”, un locale che propone cucina marchigiana nel quartiere londinese di Green Park, nel centro della Capitale britannica.

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L’interno del ristorante italiano a Londra Rossodisera (Notizie.com)

Gli affari per lui vanno bene, passando davanti alla sua vetrina a pranzo e cena non possiamo che notare sempre tutti i tavoli occupati. Ecco perché si prepara a replicare il business con un altro ristorante nel quartiere di Amsted, occupando così alcuni dei buchi che si sono venuti a creare nel corso degli ultimi due anni. Il ristoratore, che tra l’altro possiede anche un agriturismo in Italia, racconta in esclusiva a Notizie.com la sua esperienza e le problematiche affrontate nel corso della pandemia: “Il problema principale che abbiamo avuto, stando in centro a Covent Garden, è stato che in poche settimane con il lockdown si è azzerata completamente la clientela dovuta al turismo e al community people, cioè la gente che lavora qui in centro: entrambe si sono azzerate. In più una frazione di clientela che era interessata ai teatri, che qui sono rimasti chiusi a lungo, più degli altri business“.

Limitazioni e aiuti

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L’insegna del ristorante italiano a Londra Rossodisera (Notizie.com)

Insomma, è stata dura anche in Inghilterra: “Certamente, il lockdown è entrato in vigore il 20 marzo 2020, il primo almeno. In tutto siamo stati chiusi 13 mesi su due anni, che sono tantissimi. Questo ha completamente inibito l’attività: l’unica cosa permessa era il take-away, ma nel caso nostro era molto complicato perché siamo in un quartiere molto poco residenziale, quindi queste sono state le grandi restrizioni che ci hanno danneggiato in questo periodo“. Dal punto di vista di green pass e mascherine, però, questi impedimenti sono stati eliminati da tempo: “Le mascherine state tolte in maniera graduale. Però alcune limitazioni sono rimaste, come quelle agli spostamenti: parlo per chi viaggia dall’estero, il lavoro da casa, i teatri chiusi, per il centro in particolare la situazione è stata peggiore rispetto alle zone residenziali, dove tutto è ripartito già da luglio, con anche il sostegno da parte del governo. C’è da dire che sotto questo punto di vista l’amministrazione ha dato una serie di aiuti molto significativi e soprattutto li ha annunciati tempestivamente, alla fine di marzo. Per cui noi già in poche settimane abbiamo capito quale potesse essere la strategia e come ce la saremmo potuta cavare“.

Igor Iacopini poi ha spiegato nel dettaglio: “Qua siamo stati particolarmente fortunati, perché l’informazione è stata molto chiara e sono arrivati molti contributi a fondo perduto per ciascuna attività. In più è stato instaurato un regime di ‘furlough’, una cassa integrazione che è durata più di un anno e mezzo, con importi differenti, ma sostenendo le attività. In più altre forme di sostegno hanno abolito il ‘business rate’, una tassa municipale molto importante in valore assoluto. Hanno permesso alle attività di andare avanti e c’è stata una specie di concertazione tra le attività stesse e gli affittuari, che ha permesso di andare avanti pur pagando una frazione dell’affitto“.

Il paragone con l’Italia

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Rossodisera è un ristorante di cucina marchigiana a Londra (Notizie.com)

La stessa situazione tra l’altro l’ha vissuta in Italia, visto che è proprietario di un agriturismo nel nostro Paese. In questo caso, però, gli aiuti sono stati decisamente diversi: “In Italia purtroppo tutto questo non è avvenuto. La più grande differenza, avendo un agriturismo in Italia, è stata la tempestività. Si è molto parlato a livello centrale ed europeo di quale dovessero essere le forme da elargire a chi era stato danneggiato. Ma poi ci è voluto parecchio tempo per trovare una soluzione appropriata per tutti i Paesi, un punto comunque sul quale tutti concordassero. E comunque il Pnrr non è arrivato ancora al destinatario. Noi, in quanto attività aperta nel 2020 e quindi non avendo un pregresso, abbiamo ricevuto un rimborso di 1,61 euro. Questa è stata una grande sfortuna, perché purtroppo nell’anno precedente non avevamo ancora aperto l’attività, pur essendo già stata stabilita la compagnia. È stato un caso limite, ma fa un po’ capire la differenza“.

Un’altra sta nel diverso approccio dei due Paesi alla pandemia: “Secondo me la pandemia è uguale ovunque. La differenza è stata forse nell’approccio comunicativo. Qua se n’è parlato sempre meno, tranne nei momenti di grande criticità. Sono state postate poche immagini di quello che succedeva negli ospedali: quindi niente bare di Bergamo, i camion e queste cose qui. Devo dire che la cosa è stata presa con poca responsabilità, ancora adesso ci sono delle misure che riguardano i trasporti pubblici. A Londra bisogna ancora portare la mascherina, ma la gente non lo fa, perché non c’è una sanzione. In Italia invece c’è stata più attenzione e più responsabilità. Secondo me in certe fasi questo ha portato a un beneficio in termini di salute pubblica“.

Un mercato su cui investire

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Il ristorante si trova in zona Covent Garden (Notizie.com)

Anche Londra secondo il ristoratore ha dunque dei contro, oltre che dei pro. E pure nella Capitale inglese è capitato che alcune attività siano state costrette a chiudere nel corso della pandemia: “È successo chiaramente anche qua. Fondamentalmente, la questione principale è stata che qui, soprattutto a Londra, i costi sono elevatissimi. Sono stati elevati anche gli aiuti statali, ma è anche vero che il Corporate, inteso come compagnie che gestiscono grandi catene, ha portato a non essere più in grado di sostenere una certa scala di costi, per cui molte compagnie hanno chiuso, molte delle quali avevano difficoltà già prima perché il mercato di Londra era già di per sé molto saturo. C’è stato questo problema, che ha abbracciato anche i proprietari. Questo ha creato una specie di vuoto, che adesso si sta mano a mano riempiendo, seppur con qualche difficoltà, perché la Brexit ha portato altri temi come la mancanza di personale per far ripartire queste attività“.

Nonostante tutto questo, però, Igor Iacopini non ha alcun dubbio su quale Paese scegliere per aprire una nuova attività: “Avendo provato entrambe le realtà, è chiaro che l’Inghilterra da un punto di vista ambientale sia un Paese adatto per fare business: tutto è molto più snello, ma lo è sempre stato da quando sono qua, da oltre 15 anni. Tutta la burocrazia è più snella, veloce e intuitiva, dal rapporto con la pubblica amministrazione a quello con i pagamenti e i versamenti. In poche settimane sai con certezza quello che uno deve o che deve ottenere dalla pubblica amministrazione. Invece in Italia la macchina burocratica è lenta e farraginosa. E anche problematiche marginali spesso diventano un blocco per l’attività stessa. Perlomeno questa è stata la mia esperienza“.

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