Una storica sentenza emessa dal Tribunale di Padova, demolisce le convinzioni del Governo su vaccini e Green Pass
“L’appello a non vaccinarsi è l’appello a morire. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire. Non ti vaccini, contagi, lui o lei muoiono. Il Green Pass è una misura con cuigli italiani possono tornare ad esercitare le loro attività regolarmente”. Con queste parole pronunciate il 22 luglio scorso, il Presidente del Consiglio Mario Draghi annunciava uno scenario che da li a pochi mesi sarebbe diventato di dominio pubblico. Il Green Pass diventata (per il Governo) l’unico modo per evitare il contagio e continuare a fare la vita di tutti i giorni.
Da quel momento in poi è iniziato l’inferno, con tanto di posti di lavoro saltati a causa della mancanza del tanto sponsorizzato certificato verde. Ma la sentenza del tribunale di Padova emessa il 28 aprile scorso, demolisce completamente le parole del Premier e le certezze del Governo. Il giudice del lavoro del Tribunale di Padova, Roberto Beghini, ha accolto il ricorso di un’operatrice sanitaria dell’azienda Ulss n.6 Euganea che era stata sospesa dalle sue mansioni per non essere in possesso del Green Pass, obbligatorio per la categoria fino alla fine dell’anno corrente (31 dicembre 2022), come stabilito dal nuovo decreto.
Il giudice ribadisce con forza un concetto che i contestatori del Green Pass portano avanti da tempo: “La persona vaccinata, che non si sia sottoposta al tampone – si legge nella sentenza – può essere ugualmente infetta e può quindi ugualmente infettare gli altri: la garanzia che la persona vaccinata non sia infetta, è pari a zero. Invece la persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone, può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus, non è assoluta, ma è certamente superiore a zero”.
Poi viene ribadito: “Nessun dubbio che il tampone accerti l’inesistenza della malattia solo alla data in cui viene effettuato; ma ciò costituisce un dato comune a tutti gli accertamenti diagnostici e tale è il motivo per cui esso deve essere ripetuto periodicamente. La garanzia fornita dal tampone, ripetesi, è senz’altro relativa; ma quella data dal vaccino è pari a zero. Quanto allo “stress” delle strutture sanitarie, è notorio che il tampone viene effettuato anche dalle farmacie e che il costo è sostenuto dal privato”.
La sentenza censura drasticamente l’obbligo vaccinale: “La normativa italiana che sospende drasticamente dal lavoro e dalla retribuzione il lavoratore che non intenda vaccinarsi, sembra violare anche il principio di proporzionalità sancito dall’art. 52, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, secondo cui “eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta (tra cui il diritto di lavorare di cui all’art. 15 della stessa Carta, ndr) devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà”.
Il giudice conclude ricordando che “nella specie, la disciplina italiana, che sospende drasticamente dal lavoro e dall’intera retribuzione il lavoratore che non intende vaccinarsi, senza prevedere alcuna soluzione alternativa o intermedia, sembra violare il principio di proporzionalità sotto tutti e tre i profili, perché, come visto, non è necessaria né raggiunge lo scopo di evitare il contagio, ed impone al lavoratore un sacrificio all’evidenza completamente insostenibile, privandolo integralmente e drasticamente dell’unico mezzo che consente a lui ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.