Il Papa a tutto campo sulla guerra: le cause, le armi e una data per la fine

Tanti gli argomenti toccati dal Pontefice in un colloquio con il Corriere della Sera. Tra questi, l’ammissione del suo desiderio di andare a Mosca per incontrare Putin. 

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Il dramma della guerra, la corsa agli armamenti, la difficoltà di colloquiare con Kirill e l’opportunità di rimandare l’appuntamento a Gerusalemme con il Patriarca di Mosca, come anche la visita a Kiev caldeggiata dagli ucraini. “Ho parlato con Kirill 40 minuti via zoom. I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio”, ha detto il Papa parlando con il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana e con la vicedirettrice Fiorenza Sarzanini.

L’intervista di Papa Francesco e i tanti temi toccati

Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo”.

Dall’intervista emerge tutta l’inquietudine di Papa Francesco per quello che l’Europa sta vivendo, per la guerra e per le tante guerre del mondo, che cerca di contrastare con tutto l’impegno possibile, mettendo sul tavolo le sue proposte e giocando al massimo le sue carte. Riponendo grande fiducia nel Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin. “Davvero un grande diplomatico, nella tradizione di Agostino Casaroli, sa muoversi in quel mondo, io confido molto in lui e mi affido“, ha affermato Francesco.

Fin da subito, dallo scorso 24 febbraio, il Papa ha gridato il suo appello: “Fermatevi”. Da allora ha continuato a farlo senza sosta. “Il primo giorno di guerra ho chiamato il presidente ucraino Zelensky al telefono“, ha spiegato il Papa, che proprio oggi dovrà sottoporsi a un piccolo intervento al legamento lacerato, affinché possa ritornare a muoversi e a incontrare i fedeli come ha sempre fatto. “Putin invece non l’ho chiamato. L’avevo sentito a dicembre per il mio compleanno ma questa volta no, non ho chiamato”, ha continuato Bergoglio.

L’insistenza di Bergoglio per la pace e le cause del conflitto

“Ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato dall’ambasciatore russo”, ha spiegato riferendosi alla sua visita inaspettata e improvvisa nella sede dell’ambasciata in Via della Conciliazione. “Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto ‘per favore fermatevi‘. Poi ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca”.

“Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina”, riflette a voce alta. “Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla? Venticinque anni fa con il Ruanda abbiamo vissuto la stessa cosa”. Oltre alla preoccupazione di Bergoglio, però, una piccola aspra riflessione sulle cause che hanno portato al deflagrarsi della guerra.

Tra queste, forse, “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia”, che ha portato alla reazione del Cremlino. “Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì”, ammette il Papa, con una ragionamento amaro. Che porta a riflettere sull’annoso tema delle armi, sulla responsabilità della fabbricazione e anche della diffusione delle stesse.

L’interrogativo sull’invio di armi in Ucraina

“Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini”, afferma. “La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto. Così avvenne nella guerra civile spagnola prima del secondo conflitto mondiale”.

“Il commercio degli armamenti è uno scandalo, pochi lo contrastano”, riflette ancora il Papa, con la mente che va verso buoni esempi. “Due o tre anni fa a Genova è arrivata una nave carica di armi che dovevano essere trasferite su un grande cargo per trasportarle nello Yemen. I lavoratori del porto non hanno voluto farlo. Hanno detto: pensiamo ai bambini dello Yemen. È una cosa piccola, ma un bel gesto. Ce ne dovrebbero essere tanti così”.

Ora, con il rischio di un terzo conflitto mondiale alle porte, dopo gli avvertimenti che Bergoglio da anni lancia sulla terza guerra mondiale a pezzi, il tema si fa ancora più allarmante. “Il mio allarme non è stato un merito, ma solo la constatazione della realtà: la Siria, lo Yemen, l’Iraq, in Africa una guerra dietro l’altra”, spiega. “Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali. Non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero. In Ucraina sono stati gli altri a creare il conflitto. L’unica cosa che si imputa agli ucraini è che avevano reagito nel Donbass, ma parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio”.

La polemica con gli ucraini e la data della fine della guerra

“Certo loro sono un popolo fiero”, è un’altra constatazione, che tocca i recenti fatti legati alla Via Crucis e alla polemica da parte ucraina. “Per esempio quando per la Via Crucis c’erano le due donne, una russa e l’altra ucraina, che dovevano leggere insieme la preghiera, loro ne hanno fatto uno scandalo. Allora ho chiamato Krajewski che era lì e mi ha detto: si fermi, non legga la preghiera. Loro hanno ragione, anche se noi non riusciamo pienamente a capire. Così sono rimaste in silenzio. Hanno una suscettibilità, si sentono sconfitti o schiavi perché nella Seconda guerra mondiale hanno pagato tanto tanto. Tanti uomini morti, è un popolo martire. Ma stiamo attenti anche a quello che può accadere adesso nella Transnistria”.

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Tuttavia una speranza emerge dal colloquio, e riguarda l’incontro privato tra il Pontefice e il premier ungherese Orban, in cui il secondo avrebbe fatto una rivelazione molto importante. “Orbán, quando l’ho incontrato mi ha detto che i russi hanno un piano, che il 9 maggio finirà tutto“, rivela Francesco. “Spero che sia così, così si capirebbe anche la celerità dell’escalation di questi giorni. Perché adesso non è solo il Donbass, è la Crimea, è Odessa, è togliere all’Ucraina il porto del Mar Nero, è tutto. Io sono pessimista, ma dobbiamo fare ogni gesto possibile perché la guerra si fermi”.

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