Arrestati nella capitale due boss calabresi che gestivano affari illeciti per i clan. Quarantatre misure cautelari tra Lazio e Calabria
Una vasta operazione della Direzione Investigativa Antimafia sta colpendo una cellula della ‘ndrangheta radicata a Roma. Sono 43 le misure cautelari eseguite dalla Dia di Roma, sulla base di una ordinanza emessa dal gip di Roma, su richiesta della Procura della Repubblica capitolina – Direzione Distrettuale Antimafia.
Le misure, in corso di esecuzione, sono state notificate nella regione Lazio, a Reggio Calabria e nella regione Calabria. Alcuni sono accusati di far parte di una locale di ‘ndrangheta, radicata nella capitale e finalizzata ad acquisire la gestione e il controllo di attività economiche in svariati settori, ittico, panificazione, pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti. Sono in corso anche perquisizioni e sequestri, oltre all’esecuzione di misure cautelari disposte dal Gip su richiesta della Dda reggina. L’organizzazione di matrice ‘ndranghetista si ripropone, alla stregua di quanto ricostruito, in termini di gravità indiziaria, dalle indagini sviluppate dal Centro Operativo Dia di Roma, anche il fine di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale e in materia di armi, affermando il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe.
Sarebbero due i boss che operavano nella capitale. E’ quanto emerge dall’indagine della Dda della Capitale e Dia, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò e che ha portato alla emissione di 43 misure cautelari. A capo della struttura criminale c’erano Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Casoleto, centro in provincia di Reggio Calabria. “Siamo una carovana per fare la guerra”. E’ quanto afferma il boss Vincenzo Alvaro, ritenuto dagli inquirenti uno dei due capi della ‘ndrina operante a Roma, in una intercettazione .
Secondo gli inquirenti, fino al 2015 nella capitale non esisteva nessuna “locale”, nonostante la presenza sul territorio di diversi soggetti appartenenti a famiglie e dediti ad attività illecite. Nell’estate del 2015 Carzo avrebbe ricevuto dall’organo collegiale posto al vertice dell’organizzazione unitaria (la Provincia e Crimine) l’autorizzazione per costituire un struttura locale che operava nel cuore di Roma secondo le tradizioni di ‘ndrangheta: riti, linguaggi, tipologia di reati tipici della terra d’origine. Il gruppo agiva su tutto il territorio di Roma con particolare attenzione alla gestione di locali commerciali dediti alla ristorazione: bar, ristoranti e supermercati. Locali che diventavano il fulcro di un’attività di riciclaggio di ingenti somme di denaro. L’ipotesi degli inquirenti è che “sul territorio della capitale si sia così riprodotta una struttura criminale non consistente semplicemente nel fatto che una serie di soggetti calabresi abbiano iniziato a commettere reati nella città di Roma in quanto i soggetti in questione sono risultati operare secondo tradizioni di ‘ndrangheta: linguaggi, riti, doti, tipologia di reati tipici della criminalità della terra d’origine e trapiantati a Roma dove la ‘ndrangheta si è trasferita con la propria capacità di intimidazione”. Tra gli arrestati figurano un commercialista, un dipendente bancario e, nella tranche di indagine coordinata dalla procura di Reggio Calabria, che ha portato ad altri 34 arresti, c’è anche il sindaco di Cosoleto, Antonino Gioffré.