Tra i dieci nuovi santi della Chiesa spicca la figura di Charles de Foucauld, il santo del deserto che voleva essere fratello universale.
Frère Charles, oggi canonizzato a Roma insieme ad altri nove santi, fu sopra ogni altra cosa il santo della fraternità, un vero e proprio esploratore del deserto quanto dell’anima. Una personalità di fatto straordinaria, certamente fuori dagli schemi, verso cui Papa Francesco nutre un’ammirazione e una predilezione particolare, tanto da averla citata persino all’interno della sua ultima enciclica Fratelli Tutti
“Voleva essere il fratello universale. Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti”, è quanto scrive Bergoglio nel testo dedicato proprio alla fraternità. Un messaggio e una testimonianza, incarnati nella sua stessa vita, che conoscono bene ad esempio in Algeria, dove Charles visse, a Beni Abbès, Tamanrasett e all’Assekrem, nel deserto del Grande Sud.
In quelle stesse località oggi permangono alcuni dei suoi Piccoli Fratelli, un “piccolo resto” della famiglia foucauldiana disseminata in tutto il mondo sull’onda della sua spiritualità, dopo avere vissuto l’ultima parte della sua vita con i tuareg del Sahara che lo ribattezzarono il “marabutto cristiano“, nome musulmano con cui si indica una figura religiosa a metà fra eremita e guerriero, riconoscendone così la potenza spirituale.
“Un uomo assetato di fraternità, che bruciava di passione e che ha portato su di sé il Vangelo, continuando a ispirare tanti cristiani non solo là dove ha vissuto, ma in tutto il mondo”. Così lo ha descritto l’arcivescovo di Algeri Jean-Paul Vesco, arrivato ieri a Roma con un gruppo di una trentina di persone in rappresentanza della minuscola Chiesa algerina.
“La figura di Charles de Foucauld è estremamente complessa. Non può essere troppo semplificata perché si rischia di banalizzarla”, ha spiegato il presule. “Ma è vero che la fraternità è centrale nella sua vita e nella sua spiritualità, questo suo desiderio di andare verso l’altro, di farsi l’altro; è una volontà folle, la sua, di divenire fratello. Fratello di tutti”.
Di fatto, frère Charles visse molte vite. Nato a Strasburgo nel 1858 in una famiglia nobiliare, intraprende l’accademia militare, ma questa sua esperienza fu segnata da molti eccessi e poca disciplina. Non si direbbe, per un uomo che si appresta a diventare un grande riferimento di santità per la Chiesa universale. Dopo essere partito nel 1880 per l’Algeria, viene congedato. Da lì comincia il suo viaggio in Marocco, camuffato da ebreo.
Nel Maghreb compì una serie di rilevazioni geografiche che gli valsero la medaglia d’oro dalla Société de Géographie di Parigi. La fede entra con potenza nella sua nel 1886, tornando in Francia, per merito dell’abbé Henri Huvelin. “Appena ho creduto che Dio c’era ho capito che non potevo fare altro che vivere per Lui”, scrive nei suoi diari.
Pellegrino in Terra Santa, decide di vivere seguendo l’esempio di Gesù, e per farlo si spoglia di tutti i suoi beni. In un primo momento pensa di farsi monaco trappista, entrando nell’abbazia di Notre Dame des Neiges nell’Ardèche, ma viene mandato in Siria, ad Akbès. Quella vita di monaco non è abbastanza per lui. Nel 1897 torna a Nazareth, per inseguire le orme di Gesù, e nel 1901 diventa prete in Francia, a Viviers.
Sogna di condividere la sua vocazione con altri, tanto da scrivere diverse regole di vita religiosa. Capisce però che quella che lui chiama la “Vita di Nazareth” era una proposta valida per tutti, ovunque. Oggi quella stessa “famiglia spirituale di Charles de Foucauld” conta numerose comunità religiose, istituti secolari di laici o sacerdoti, associazioni di fedeli, sparsi per tutto il globo.
La sua stessa eredità spirituale cammina però anche fuori dalle associazioni che si rifanno direttamente al suo nome, ma che raccolgono la potenza della sua scelta di abbandonare tutto per dedicarsi a una sola missione, quella del Kerygma, l’annuncio della Parola ai quattro angoli della terra. Come ad esempio per il Cammino Neocatecumenale, che oggi plaude in modo particolare la canonizzazione rivedendo in Charles lo spirito che animò il fondatore Kiko Argüello nel predicare il Vangelo tra le baracche spagnole e romane, fino a dare vita all’esperienza delle Missio ad gentes.
Il richiamo che più di tutti infiammerà l’anima di frère Charles, a partire dall’amore per Cristo, è quello del deserto. Nel suo cuore si fa spazio una consapevolezza: che “bisogna passare per il deserto per ricevere la grazia di Dio”. A Beni Abbès costruisce una fraternità e scrive la regola dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore di Gesù, prima, e poi quella delle Piccole Sorelle.
Una volta trasferitosi a Tamanrasset, ancora più a Sud, in un “luogo abbandonato e di abbandono”, inizia una nuova vita. Lì realizza, in totale solitudine, un mastodontico dizionario di francese-tuareg, trascrivendo molte poesie e proverbi di quel popolo. Le sue giornate sono scandite e riempite dalla preghiera. Decide per alcuni mesi di trasferirsi in un eremo all’Assekrem, sul massiccio dell’Hoggar. “Nella solitudine di fronte alle cose eterne ci si sente invasi dalla verità”, scrisse in quei momenti.
Le sue giornate sono segnate da lunghi momenti di adorazione eucaristica e dal desiderio ardente di essere “fratello universale”, facendosi cioè immagine dell’amore di Cristo. “Vorrei essere buono perché si possa dire: Se tale è il servo, come sarà il Maestro?”, è un altro passaggio dei suoi scritti. All’abbé Huvelin scriveva: “Devo convertirmi, devo morire, come il chicco di grano che, se non muore, resta solo”.
Fu per lui una profezia. Charles de Foucauld venne ucciso il 1 dicembre 1916, durante un assalto compiuto da una banda di predoni di passaggio. Le sue spoglie oggi riposano a El Goléa, dove stamane ha presieduto una cerimonia il vescovo di Costantine, monsignor Nicolas Lhernould. La parabola del chicco di grano segnò così la sua vita come la sua salita in cielo. Oggi il frutto della sua missione viene raccolto dalla Chiesa, e la sua testimonianza risuona più forte che mai.