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Carlo Nicolini: “I giorni vissuti nel bunker a Kiev. Da due mesi non dormo”

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Paolo Colantoni

Il Direttore Sportivo dello Shakthar Donetsk racconta cosa è successo in Ucraina in quei giorni: “Un momento che non dimenticherò mai”

“Sono due mesi che non dormo. Ho cinquant’anni e mai nella vita avrei immaginato di vivere quello che ho vissuto in Ucraina negli ultimi tempi”. Carlo Nicolini è il Direttore Sportivo dello Shakhtar Donetsk. Vive in Ucraina dal 2004, da quando ha seguito in questa avventura Mircea Lucesku ed è rimasto sconvolto dalla guerra che ha devastato sogni e ambizioni di un’intera nazione. Nicolini aveva lavorato con il tecnico romeno ai tempi del Brescia e lo ha seguito prima in Turchia, nel Galatasaray e poi a Donetsk.  “Una nazione dove ci siamo trovati sempre benissimo. Mi ha accolto alla grande e la scorsa estate, quando bisognava scegliere un nuovo allenatore, non ci ho pensato due volte a scegliere e convincere De Zerbi. Alla luce di quello che è successo, mi sento un pò responsabile”.

Quando è scoppiato il conflitto, Nicolini, con i suoi ragazzi, stava per riprendere il campionato. “Eravamo in testa, davanti alla Dinamo Kiev. Un risultato che, se mai ce ne sarà l’occasione, ci permetterà di partecipare alla prossima Champions League. Lo Shakhtar – ha dichiarato ai microfoni di Radio Incontro Olympia –  attuale era la squadra più forte che ho avuto in questi venti anni. Ero convinto che nel giro di due anni potevamo diventare come l’Ajax di qualche anno fa. Ma oggi diventa anche impossibile immaginare di giocare a calcio, dopo tutto quello che abbiamo vissuto. Non dimenticherò mai i primi giorni in albergo, le preoccupazioni che prima o poi potesse arrivare una bomba a distruggere tutto”.

I primi giorni sono stati terribili:Noi eravamo in ritiro in Turchia, per preparare la ripresa del campionato. Sapevamo quello che stava per accadere e ci chiedevamo se fosse il caso tornare. Ci siamo affidati alle autorità e ci è stato detto che non c’erano problemi. Torniamo a Kiev di domenica, sapendo che avremmo dovuto preparare la prima giornata di campionato che si sarebbe disputata il sabato successivo. Appena torniamo sentiamo il discorso di Putin e continuiamo ad avere paura. Il martedì tornano i brasiliani e contestualmente la Federazione ci assicura che il campionato sarebbe ripreso regolarmente. Poi, scoppia il caos”. Nicolini ricorda quei momenti. “Eravamo nell’albergo della squadra, insieme ai dirigenti. Nella struttura c’era un bunker. Inizia a suonare la sirena e ci rifugiamo li. Passiamo cinque giorni chiusi nel bunker: le sirene che suonavano ogni cinque minuti, l’ansia di un possibile bombardamento. Tentavamo di chiamare Ceferin e le autorità per avere rassicurazioni, che nessuno era in grado di darci. C’erano le famiglie dei calciatori, i bambini. Tutto era complicato, anche decidere chi dovesse andare a fare la spesa a comprare i pannolini e il cibo: pochi se la sentivano di uscire”.

Il ritorno in Italia

De Zerbi e il suo staff tornano in Italia – Ansa Foto –

La svolta arriva nel week end.Ci trovavamo in grossa difficoltà. Anche Fonseca, ex allenatore della Roma ha vissuto una situazione simile, ma rispetto a noi è stato più fortunato, perchè la comunità portoghese a Kiev era più piccola ed è riuscito a partire in anticipo. Il sabato siamo riusciti a far partire i brasiliani. Subito dopo toccava a noi, ma per un quarto d’ora non ce l’abbiamo fatta: è scattato il coprifuoco e partire sarebbe stato rischioso. Potevano spararci a vista. Abbiamo dovuto attendere il giorno dopo”. Un viaggio interminabile.E’ stata un’odissea. Lasciamo l’albergo e andiamo alla stazione di Kiev. Con la paura che una bomba o un cecchino potesse colpirci. Prendiamo il treno verso Leopoli: quattordici ore di viaggio. Ogni volta che il treno rallentava avevamo paura che entrasse qualche soldato e lo dirottasse. Un’agonia infinta. Poi cinque ore di viaggio in pullman fino al confine, due ore di controlli alla frontiera e altre due ore di viaggio per Budapest. Da li abbiamo preso l’aereo per Bergamo”. Nicolini è ora in Italia. “Ma non vedo l’ora di tornare a lavorare in Ucraina. Siamo pronti a ripartire. Sappiamo come fare”.

 

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