Le mani della Cina nel nostro Paese tra telefonia, reti e sorveglianza

La Via della Seta in Italia non è di certo questione di poco conto, per quanto sembri passare inosservata ai più. Le grinfie del Dragone si stanno infatti estendendo anche nel nostro Paese giorno dopo giorno.

xi jinping
(Ansa)

Nonostante la retromarcia del premier Draghi sugli accordi firmati nel 2019 dal governo guidato da Giuseppe Conte con il presidente cinese Xi Jinping, di certo la presenza e l’influenza della Cina nel nostro Paese si è affatto indebolita, anzi. Le industrie e i capitali cinesi attivi in Italia non solo non sono calati, ma crescono ogni giorno, nei settori più disparati.

Compresi alcuni estremamente delicati, come quelli delle infrastrutture elettriche, dei porti o i sistemi di videosorveglianza negli uffici pubblici. Pechino infatti continua a scorrazzare indisturbato in questi settori in mezza Europa, in Italia ma anche in Francia o in Germania.

Con l’arrivo di Draghi, l’attenzione del governo italiano a fare in modo che questo tipo di iniziative non abbiano carattere predatorio è cresciuta, specialmente nei casi in cui i colossi in questione che fanno acquisti nel nostro Paese siano in mano al partito-Stato. Mentre l’Italia, da Romano Prodi a Beppe Grillo, ha sempre avuto un particolare occhio di riguardo, o meglio di benevolenza, verso Oriente.

I numeri del Dragone in Italia e i settori a rischio

Guardando ai numeri, si nota allora che nel primo trimestre del 2022 gli scambi tra Italia e Cina sono aumentati del 17 per cento rispetto all’anno precedente. Non poco. Se si guarda agli squilibri della bilancia commerciale, si nota che le importazioni italiane sono aumentato del 38 per cento, mentre quelle della Cina sono scese dell’8 per cento. Anche qui, una situazione non ottimistica.

Nel 2021 infatti l’Italia ha esportato merci per 15,5 miliardi di euro mentre ne ha importate per 38,5. Così nel nostro Paese girano oltre 300mila cinesi che producono in Italia e trasferiscono indisturbati denaro in Cina, in totale riservatezza. Un caso emblematico è quello della prima supercar interamente elettrica, che verrà lanciata il prossimo anno a Reggio Emilia dalla sino-americana Silk Faw e che viene presentata come la risposta cinese alla Ferrari, con investimenti per un miliardi e una stima di mille posti di lavoro.

Se si guarda alla telefonia, nonostante le polemiche che hanno portato allo stop di Conte sullo sviluppo del 5G da parte di Huawei e Zte, la prima di queste due aziende fattura in Italia più di un miliardo l’anno, mentre la Zte che ha superato i 250 milioni.

La cosa più pericolosa però, come spiega il quotidiano La Verità, è che anche il 35 per cento della rete elettrica italiana è in mano a Pechino, con China State Grid all’interno di Cdp Reti, operazione frutto dell’azione di Matteo Renzi e del ministro Pier Carlo Padoan nel 2014. O che un migliaio di telecamere sparse in oltre 130 procure siano prodotte dai cinesi, che nel proprio Paese usa questo tipo di apparecchiature per controllare le minoranze perseguitate. Dopo avere sfiorato, per un nonnulla, anche la possibilità di mettere le mani sulla gestione dei porti di Venezia, Trieste e Genova.

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