Le prima lettera del nuovo presidente della Cei in occasione della Festa della Repubblica italiana, dove tra i tanti temi toccati ha riservato particolare attenzione al tema del lavoro o della ricostruzione post-pandemia, rivolgendosi direttamente a coloro che sono impegnati nelle istituzioni.
Il cardinale Zuppi non è nuovo a questo genere di uscite. Già nei mesi scorsi, da guida della diocesi bolognese, aveva inviato una “Lettera alla Costituzione” che aveva avuto la forza di fare parlare molto di sé, nei giornali e all’interno di tutta la comunità bolognese. La sua prima uscita pubblica ritorna su questa stessa scia di impegno civile e di responsabilità nei confronti delle istituzioni pubbliche, nel solco di una tradizione del cattolicesimo democratico di cui Zuppi si fa con tutta evidenza portatore, in modo particolare in un momento in cui la politica e i politici cattolici sono sempre meno, meno uniti e meno influenti sul dibattito pubblico.
Il cardinale Zuppi sembra invece volere invertire questa tendenza, e in maniera significativa. Rivolgendosi a quanti lavorano nelle istituzioni e richiamandosi all’importanza del loro ruolo per le sorti dell’intera comunità, in maniera diretta e frontale, il nuovo capo della Cei si è richiamato al bisogno di guardare al “bene della comunità, composta da tante persone”. “Siamo una comunità, dobbiamo tornare a esserlo”, scrive Zuppi.
“Carissima, carissimo, la vedo operare negli uffici, nelle aule di università o delle scuole, in quelle di un tribunale o nelle stanze dove si difende la sicurezza delle persone, nelle corsie dove si cura o nel front office di uno sportello, nei laboratori o lungo le strade per renderle belle e proprie, nei ministeri o in qualche ufficio isolato dove non la nota nessuno, nei cortili delle caserme o nei bracci delle carceri”, afferma nelle prime righe della lettera.
L’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei ha così posto l’attenzione sulla dimensione pubblica e comunitaria dell’operato di ciascuno. “In realtà tanta parte del suo lavoro non si vede, ma questa lettera è per lei. Istintivamente le darei del tu, ma preferisco cominciare dal Lei per il grande rispetto che nutro”, prosegue, ricordando la figura di Madeleine Delbrêl, mistica e poetessa francese particolarmente impegnata nel sociale.
“A proposito delle persone come lei diceva che sono il filo che tiene insieme il vestito: la capacità del sarto è proprio quella di non farlo vedere, ma il filo è necessario perché i pezzi di stoffa si reggano insieme. Così è il suo lavoro, prezioso per le istituzioni della nostra casa comune, e ogni pezzo è importante. Davvero”. Una stoccata Zuppi la riserva anche ad aspetti problematici come le morti sul lavoro, o l’impegno dei fondi del Pnrr per la ricostruzione dopo le macerie prodotte dalla pandemia.
“Non possiamo più accettare, eppure succede ancora spesso, che il luogo di lavoro, che è per la vita, diventi invece un luogo di morte. Penso a chi non è più tornato a casa e alle mogli e ai figli che hanno aspettato invano i propri cari”, scrive Zuppi. “Questo mi addolora, mi commuove e non smetto di chiedere condizioni di lavoro sicure per tutti. Vorrei un lavoro sempre meno a tempo determinato e più stabile, perché deve contenere il futuro: per sé, per la propria famiglia, per i figli, sì, per i figli. Senza figli per chi si lavora? Vorrei, poi, che il lavoro fosse lavoro buono e non solo lavoro: che i lavoratori fossero sempre messi in regola e che nessuno sia più sfruttato. Possibile che oggi c’è ancora chi non mette le persone in regola?”, domanda, prima di passare al tema del Pnrr su cui lavora il governo.
“Il nostro è il tempo in cui realizzare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il cosiddetto PNRR, e mi sembra possa essere un’occasione davvero decisiva dopo tanta sofferenza. Durante la pandemia abbiamo capito quanto le fragilità, le contraddizioni, le ingiustizie siano anche conseguenze dei rimandi, dei ritardi, delle furbizie, delle cose che bisognava fare e che non sono state fatte, degli interessi privati che hanno condizionato le scelte politiche. Le cause di tante sofferenze sono a volte così lontane che non le sappiamo più riconoscere”, ha scritto ancora Zuppi, citando tra gli altri una frase di don Primo Mazzolari, “che amava Dio e le persone, la Chiesa e la città concreta degli uomini e delle donne”.
“Ci impegniamo noi e non gli altri … né chi sta in alto, né chi sta in basso, senza pretendere che gli altri si impegnino … senza giudicare chi non si impegna … il mondo si muove se noi ci muoviamo, si muta se noi mutiamo, si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura … la primavera comincia con il primo fiore, la notte con la prima stella, il fiume con la prima goccia d’acqua, l’amore col primo impegno …”.