Un report dettagliato mette in allarme chi ha respirato troppo biossido di azoto prima dell’emergenza, ora sarebbe più a rischio Covid
Una ricerca tedesca presentata ad un congresso europeo che si sta tenendo in questi giorni a Milano, avrebbe rivelato che una esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico prima della pandemia è legata ad un rischio più alto di sviluppare una forma grave di Covid-19.
Sembrerebbe che, dopo aver esaminato centinaia di casi di persone che hanno contratto il virus del Covid-19 in forma più grave, queste fossero state esposte prima dell’emergenza a troppo biossido di azoto e questo avrebbe reso il loro organismo più vulnerabile al virus. Uno studio che, se confermato da altri dati, potrebbe dare anche una luce diversa del perché non tutte le persone che hanno contratto il virus siano state contagiate con la stessa gravità.
Lo studio tedesco presentato a Euroanaesthesia 2022, il congresso annuale della Società europea di Anestesiologia e Terapia Intensiva che si sta tenendo in questi giorni a Milano, ha indagato sull’impatto dell’inquinamento atmosferico a lungo termine e la necessità di trattamento in terapia intensiva e ventilazione meccanica dei pazienti positivi. Il periodo preso in esame è stato quello dal 16 aprile al 16 maggio 2020, quando sono state revocate le restrizioni al lockdown e 392 delle 402 province tedesche sono state incluse nell’analisi. Ebbene, lo studio ha rilevato che c’era una maggiore necessità di trattamento in terapia intensiva e della ventilazione meccanica per i pazienti dei territori con livelli medi annuali di NO2 più elevati a lungo termine.
Il team che ha condotto lo studio ha monitorato i dati sull’inquinamento atmosferico dal 2010 al 2019 e questi numeri sono stati utilizzati per calcolare il livello medio annuo di biossido di azoto a lungo termine per ciascuna contea della Germania. Questo variava da 4,6 µg/m³ a 32 µg/m³, con il livello più alto a Francoforte e il livello più basso a Suhl, una piccola contea della Turingia. Ebbene, ad ogni aumento di 1 µg/m³ della concentrazione media annuale di biossido di carbonio a lungo termine è stato associato ad un aumento del 3,2% del numero di posti letto in terapia intensiva occupati da pazienti Covid-19 e a un aumento del 3,5% del numero di pazienti che necessitavano di ventilazione meccanica.
Susanne Koch, del dipartimento di Anestesiologia e Terapia Intensiva, Charité–Universitätsmedizin di Berlino, ha affermato che “l’esposizione a lungo termine all’NO2 molto prima della pandemia potrebbe aver reso le persone più vulnerabili alla malattia Covid più grave. L’esposizione all’inquinamento atmosferico ambientale può contribuire a una serie di altre condizioni, tra cui infarti, ictus, asma e cancro ai polmoni e continuerà a danneggiare la salute molto tempo dopo la fine della pandemia. C’è la necessità di ridurre le emissioni perché questo, non solo aiuterà a limitare la crisi climatica, ma migliorerà la salute e la qualità della vita delle persone in tutto il mondo”, conclude la ricercatrice.