Uno studio innovativo permette di sfruttare una molecola per attivare i neuroni uditivi. E tutto si realizza attraverso la luce
Il mondo della scienza fa passi avanti continui. Quello che sembrava impossibile fino a qualche anno fa, ora è diventato fattibile. Attraverso gli studi, le ricerche e lo sviluppo dell’industria farmacologica, è ora possibile realizzare le più importanti imprese mediche. Anche quelle che sembravano inimmaginabili.
Grazie alla scienza è possibile ora tornare a sentire in modo naturale, senza interventi chirurgici, sfruttando la luce. Tutto questo, grazie ad una molecola che promette di attivare i neuroni uditivi attraverso una strategia fotofarmacologica. Lo studio è stato pubblicato dal ‘Journal of the American Chemical Society’, con protagonista fra gli altri un chimico farmaceutico oggi in forze all’università Statale di Milano. La ricerca, con test in vitro e in vivo, segna un passo avanti verso una nuova generazione di impianti cocleari attivabili con la luce: un ‘orecchio bionico’ che potrebbe superare i limiti dei dispositivi elettrici più comunemente in uso.
Secondo Carlo Matera, chimico farmaceutico dell’Institute for Bioengineering of Catalonia (Ibec), in Spagna, che ha sintetizzato TCPfast, questa molecola “è in grado di legarsi a un recettore neuronale e di funzionare come una protesi molecolare che trasforma i normali neuroni uditivi in neuroni in grado di attivarsi con la luce”. Al centro dello studio coordinato da Pau Gorostiza, capo del gruppo di ricerca Nanoprobes & Nanoswitches dell’Ibec, e da Tobias Moser, direttore dell’Institute for Auditory Neuroscience dello University Medical Center di Göttingen, in Germania, c’è dunque “un agente farmacologico controllabile con la luce e in grado fotoattivare i neuroni uditivi di mammifero”, lo definiscono gli autori.
Dopo aver testato gli effetti della nostra molecola in vitro su neuroni ippocampali – racconta Aida Garrido-Charles, ricercatrice Ibec – abbiamo condotto esperimenti in vivo su gerbilli, dei piccoli roditori. Questi esperimenti ci hanno permesso di verificare che, quando TCPfast viene colpito da luce blu, è in grado di indurre un segnale nei neuroni della coclea. Si tratta della prima volta in cui un risultato del genere viene ottenuto adottando una strategia farmacologica e non genetica”.