Gli Stati Ue che hanno in vigore salari minimi dovranno stabilire criteri precisi per fissarli e aggiornarli
La bozza della direttiva Ue sulla quale Consiglio e Parlamento Ue hanno raggiunto un accordo a Strasburgo non prevede l’obbligo di introdurre un salario minimo in tutti i Paesi dell’Unione. Gli Stati membri dell’Ue che hanno salari minimi in vigore dovranno stabilire un quadro procedurale per fissare e aggiornare i salari minimi secondo una serie di criteri.
La direttiva si limita a stabilire le procedure per assicurare l’adeguatezza dei salari minimi laddove esistono e a promuovere la contrattazione collettiva per aumentare l’accesso effettivo alla tutela del salario minimo per i lavoratori che vi hanno diritto in base al diritto nazionale.
La proposta ha subito riacceso il dibattito sull’opportunità di dotarsi dello strumento. A ben vedere non è tutto oro quello che luccica. Il salario minimo va studiato e applicato seguendo criteri precisi, altrimenti c’è il rischio di produrre effetti distorsivi sul mercato del lavoro. L’Italia è attualmente tra gli ultimi Paesi Ue dove la paga oraria minima imposta per legge non esiste. E potrebbe restare tutto così almeno fino alla fine della corrente legislatura. Ovverosia, potrebbe non essere il Governo italiano, che è guidato dal presidente del Consiglio Mario Draghi, ad introdurre il salario minimo anche in Italia.
Fissare una paga minima significa azzerare le differenze territoriali sul costo della vita. Perché i 9 euro l’ora guadagnati, da spendere a Milano, per rendere l’idea, non sono gli stessi da spendere a Palermo. Inoltre, il secondo dei danni che il salario minimo potrebbe fare è sui premi di produttività, cioè potrebbero essere a rischio gli incentivi aziendali. Così poi, la paga minima oraria, fissata per legge, in futuro potrebbe essere difficile da aggiornare. Di conseguenza la misura potrebbe diventare, in tutto e per tutto, una sorte di reddito di cittadinanza.