Il pilota bergamasco sempre più mito, taglia un altro traguardo importante: “Mi sento ancora come prima e devo dire grazie”
Un traguardo importante. Di quelli che si ricordano. E uno come lui di traguardi ne ha tagliati tanti, tutti vincenti e memorabili. E’ il compleanno di Giacomo Agostini, per tutti “Ago” che spegne 80 candeline. Che brillano ancora di una luce splendere e brillante, se non altro per quei 15 titoli mondiali conquistati con MV Agusta (un’azienda di moto storica italiana) e Yamaha, nelle cilindrate 350 e 500, tra il 1966 ed il 1975. Un palmares che resta unico nella velocità su due ruote. Nessuno come lui, nemmeno Valentino Rossi, eroe della generazione moderna. Ma Agostini ha fatto qualcosa di più, anche se mettere a confronto le due generazioni e i due piloti è ingeneroso, soprattutto per mezzi e tecnologia, anche se dal punto di vista squisitamente tecnico Vale, forse, ha portato qualche cambiamento in più per via della guida e dell’atteggiamento in gara, ma questo è un altro discorso. Ago ha vinto 122 Gran Premi (54 in 350, 68 in 500, più 37 podi), 10 Tourist Trophy.
Agostini fu lui il primo “non britannico” nel 1968, a vincere sia la gara Junior che quella Senior sull’isola di Man, in sella alla mitica MV, sfrecciando tra muretti, marciapiedi e pali della luce. E’ ancora una gara automobilistica piena di fascino, ma all’epoca era considerata una classica vera. Giacomo Agostini è nato a Brescia, il 16 giugno del 1942, primo di tre fratelli, il padre lo voleva ragioniere e quando Giacomo gli disse che avrebbe voluto correre in moto chiese consiglio al notaio di famiglia. Il quale, equivocando fra ciclismo e motociclismo, rispose “ma sì, fagli fare sport”. Un malinteso che aprì le porte alla carriera di un campione, con buona pace di papà e soprattutto di mamma che ad ogni gara soffriva non poco.
L’alba del mito il 19 luglio 1961, alla guida di una Morini 175 comperata a rate nella gara in salita Trento-Bondone; l’omega nel 1977, alla vigilia di Natale, quando decise di sfilarsi un casco ormai integrale. Il primo ad intuire il valore dell’allora 19enne ‘Minò fu, nel 1965, il conte Domenico Agusta che lo affianca ad un campione già affermato, Mike “The Bike” Hailwood. E per evitare che due galli nello stesso pollaio si pestino i piedi, ad Agostini affida la responsabilità del titolo della 350, a Hailwood quello della 500. Il bresciano manca l’obiettivo per un banale guasto elettrico nell’ultima gara, l’inglese lo centra, per poi passare alla Honda. L’anno dopo arriva il primo titolo mondiale, nella 500. Per sette anni consecutivi Ago è il re della classe regina e dal ‘68 al ‘72 colleziona altrettante doppiette, aggiungendovi la classe 350.
Nel 1974 Agostini va alla Yamaha. Il passaggio dai quattro ai due tempi non lo spaventa e l’anno dopo vince in 500 il suo ultimo titolo, il primo per la casa giapponese. Ma Agostini non era solo motociclismo e velocità. Affascinante in sella quanto in giacca e cravatta, è stato un grande manager di se stesso, antesignano del personaggio che un giorno diventerà Valentino Rossi. Testimonial di marchi famosi, perfino attore di fotoromanzi, giovane, bello e vincente, faceva notizia anche senza tuta: copertine sui settimanali rosa, caroselli pubblicitari, addirittura film. Ma lui, che restava prima di tutto un pilota, rispose di no. Sempre fedele alle due ruote. Tanto da declinare una proposta di Enzo Ferrari, condizionata però al totale abbandono delle corse in moto. Ma quello era il suo mondo ed Ago non si è mai pentito di aver vissuto così i migliori anni della sua carriera.