Era stato radiato da anni, ma lui continuava a lavorare ed operare nella Roma bene, nella sua rete ne sono cascati tanti
Una truffa nella quale sono cascate tante persone tra i circoli più esclusivi della capitale. A metterla in pratica, come scrive Repubblica, è stato l’architetto Stefano Giannini, che dopo la radiazione dall’albo continuava ugualmente e imperterrito a lavorare grazie a una partita iva intestata a una persona deceduta. Ha falsificato documenti che accertavano la regolarità dei lavori eseguiti tra collina Fleming e Parioli. Il risultato è scritto negli atti con cui il cinquantanovenne è finito a processo per aver truffato, almeno secondo gli investigatori, famiglie e commercianti per poi farla franca. Già, perché la prescrizione ha fatto fuori una trentina di accuse. E le ultime quattro rimaste in piedi si estingueranno a breve.
Ma oltre al danno c’è anche la beffa. Già perché nel frattempo i clienti del finto architetto sono costretti anche a pagare per abbattere i lavori abusivi che l’imputato gli ha venduto. Dunque la verità sull’architetto non emergerà mai. Ma le indagini sono andate avanti lo stesso dagli agenti del Gruppo Parioli e del Gruppo Trevi. Si presentava come architetto vantando quel curriculum che ne certificava un grande spessore professionale. E poi carpiva la fiducia di medici, docenti universitari, commercialisti, rampolli di famiglie nobiliari o commercianti, soprattutto del Circolo Canottieri Aniene.
Dopo aver ricevuto l’incarico per i lavori presentava una falsa fattura, sostiene il pm Gianluca Mazzei, solitamente riconducibile all’azienda della ex moglie, anche lei architetto e coinvolta nelle indagini. In altri casi utilizzava la partita iva di una persona deceduta. Quindi si faceva pagare per aerofotogrammetrie o autorizzazioni mostrate al committente grazie a timbri e protocolli falsi. E ancora false documentazioni reversali, di fine lavori, per collaudi, accatastamenti, Cila, Dia e ogni genere di attestazione. Il tutto falsificando la firma di funzionari e geometri, come quello che nel 2016 lo ha denunciato affermando di non conoscerlo.
Ogni certificato veniva lautamente pagato, ma le strategie dell’architetto erano molteplici. Avrebbe addirittura falsificato fatture gonfiando i rimborsi che chiedeva ai committenti dicendo di aver comprato il materiale edile necessario ai lavori. I malcapitati non avevano idea di ciò che stava accadendo fino a quando un avvocato di Bolzano non ha denunciato la faccenda e i vigili non hanno bussato alla porta delle vittime. Quattro anni di indagini meticolose. Poi nel 2017 la richiesta di misure cautelari, nel 2018 la richiesta di rinvio a giudizio e l’anno seguente il rinvio a giudizio. Quindi il processo, a ritmo di lumaca. Anche l’ultima udienza è stata rinviata per un malore accusato da un avvocato. L’epilogo della recita dell’architetto sembra già scritto: prescrizione.