Gli effetti della Dad sugli adolescenti continuano tristemente a farsi sentire: l’ultimo studio rivela come sia cambiato il loro rapporto con l’iscrizione all’Università dopo il diploma.
Come spiega il Direttore del Laboratorio Adolescenza di Milano Maurizio Tucci sul Corriere della Sera, il Covid continua a colpire i giovani anche dopo la fine dell’emergenza. Dopo due anni passati a combattere con lezioni da casa, connessioni che non funzionano, software incomprensibili e cuffie e webcam difettosi, non sono finiti i problemi per i ragazzi che si affacciano al mondo dei “grandi”.
Ovvero che si trovano davanti alla scelta fatidica: lavoro o università? Ebbene, in un Paese in cui, a differenza di quello che si pensa e dica a livello comune, le percentuali dei laureati sono tra le più basse d’Europa, la pandemia e la Dad ha peggiorato ancora più la condizione.
Tutti i numeri della ricerca e il triste presagio universitario
Per quanto riguarda la soddisfazione o meno rispetto alla propria formazione nel periodo del Covid, se il 30 per cento si ritiene soddisfatto il 70 per cento non lo è affatto, secondo i dati che emergono dall’indagine nazionale sugli stili di vita degli adolescenti che vivono in Italia, realizzata ogni anno dalla associazione no-profit Laboratorio Adolescenza e dall’Istituto di ricerca Iard per la fascia di età 13-19 anni.
Un deficit formativo che tuttavia appare evidente anche agli insegnanti che si sono apprestati per gli esami di Stato, che vedono la strada per il ritorno alla normalità ancora ardua e tutta in salita. Oltre ai dati sul presente, però, quelli che spaventano riguardano in particolare il futuro. Nello specifico, l’iscrizione all’Università. Solo il 63 per cento degli studenti intervistati ha infatti dichiarato di pensare di iscriversi all’Università, e il 33 per cento invece ritiene di non farlo. Tra i maschi, il 40 per cento.
Se si considera che solo una parte degli iscritti all’Università conseguirà la laurea, in un Paese in cui la dispersione è molto forte, il dato che ci vede penultimi in Europa con il 27 per cento di laureati nella fascia d’età 30-34 anni, secondi solo alla Romania e con percentuale doppiata da Francia, Regno Unito o Spagna, rischia di peggiorare ancora più una situazione già nient’affatto rosea.
Se si guarda negli anni prima della pandemia, il quadro è ancora più preoccupante. Nel 2018 il 76,8 per cento dei maturandi progettava di iscriversi a un percorso universitario, contro il 22,9 che lo escludeva. In sostanza, in quattro anni il saldo negativo sfiora i 15 punti percentuali, mentre già si presentano i primi segni effettivi, come quelli legato al fatto che nell’anno accademico 2021-2022 il numero di iscritti sia calato già del 3 per cento.
Sicuramente, non gioca a favore la vista di tanti laureati e laureate ritrovarsi a fare lavori per i quali non serve nemmeno il diploma, oppure ad avere stipendi più bassi di coloro che fanno lavori per i quali non c’è bisogno di alcuna specializzazione. Senza contare soldi, tempo e fatica spesi per conseguire i propri studi universitari. Ma la strada che si presenta parla di un Paese in grande difficoltà, e di un pericoloso impoverimento culturale alle porte.