Lo studio tutto italiano: scoperto l’interruttore genetico dell’invecchiamento

La ricerca sembra sempre più spalancare le porte della lotta all’invecchiamento. In una società in cui la durata media della vita aumenta già naturalmente, a causa delle migliori condizioni di vita, e dove frange estremiste parlano di transumanesimo e di immortalità corporale, la scienza continua a fare passi da gigante. 

laboratorio
(Ansa)

La recente notizia proviene da uno studio italiano coordinato da Stefano Piccolo del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova e dell’Ifom di Milano, Istituto di oncologia molecolare di Fondazione Airc, riportato dalla prestigiosa rivista scientifica Nature.

I ricercatori sono infatti giunti alla scoperta de fatto che “una fondamentale causa di invecchiamento è il decadimento dei tessuti detti ‘di supporto’ o connettivi, normalmente responsabili della forma, del sostegno meccanico e della protezione di tanti organi”.

Cosa si è scoperto nello specifico con lo studio

Nello specifico gli scienziati hanno notate che nel corso dell’invecchiamento si verifica una diminuzione costante di alcune cellule legate a questi tessuti di sostegno, detti fibroblasti, proprietari di un sistema tattile estremamente sviluppato che mantengono l’intero tessuto fisico della persona giovane e in tensione.

Questi fibroblasti mostrerebbero quindi lo stato biomeccanico ideale che in seguito si traduce nell’attivazione di un interruttore genico anti-invecchiamento, dal nome Yap/Taz, capace di preservare l’integrità strutturale del nucleo della cellula.

In sostanza, la scoperta mostra come il processo di invecchiamento, dovuto al fatto che in qualche modo cede “l’impalcatura” che sorregge il nostro corpo, è dovuto anche a un interruttore genetico che lo governa.

Abbiamo mimato sperimentalmente la perdita biomeccanica nei tessuti connettivi giovani ‘spegnendo’ l’interruttore Yap/Taz, e assistendo così a un invecchiamento accelerato associato alla formazione, attraverso l’involucro nucleare delle cellule, di buchi tali da lasciare esposto il Dna”, spiega uno studioso del gruppo su Adnkronos.

“Questa perdita di integrità genera una condizione di stress e di allarme per le cellule. Può essere interpretata dalle cellule stesse come se fosse in atto un’infezione di Dna esterno, ovvero come se si fosse introdotto un virus. Ciò a sua volta innesca l’accensione di un altro interruttore, detto Sting”.

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