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Politica

Veleni e veti incrociati, così la vendetta governa la politica

Published by
Daniele Magliocchetti

La crisi è dovuta anche ai sentimenti di rabbia e rivalità tra i protagonisti Conte contro il successore, l’ex banchiere voleva il Colle

“Se è vero che la vendetta è un piatto che si consuma freddo, questi cinque giorni da dimissionario congelato potrebbero essere i più gravidi di soddisfazioni per il presidente del Consiglio, Mario Draghi, dei cinquecento e oltre passati a Palazzo Chigi”. A scriverlo è Pietro Senaldi sul quotidiano LiberoI. l premier si è tolto i sassolini dalle scarpe. Ha approfittato del passo falso dei grillini, che non gli hanno votato la fiducia, pur non facendo venir meno aritmeticamente la maggioranza, per precipitarsi da Mattarella e sfilarsi dalla guida del Paese e ha visto il suo orgoglio subito premiato. Chi gli ha creato i maggiori problemi e ha provato ripetutamente a sgambettarlo è ora nel panico, precipitato in una situazione a metà tra lo sconforto e l’ansia di chi ha perso un padre e la disperazione e la recriminazione di chi è stato abbandonato dalla moglie.

Il presidente della Repubblica Mattarella e il presidente del Consiglio Draghi (foto Ansa)

Sono giorni di scenari. L’ex banchiere fa sapere in giro di essere irremovibile nella sua decisione di lasciare, malgrado le insistenze del capo dello Stato perché resti dov’ è, e questo ne aumenta le quotazioni. Il Pd lo supplica, piuttosto indecorosamente, di tornare sui suoi passi, e conta molto sul suo santo al Quirinale, che dai dem proviene, per convincerlo. Pure i grillini si sono pentiti di averlo sfidato. Conte sta mandando ambasciate per essere perdonato. Perfino dal centrodestra, ormai specializzato nel giocare contro se stesso, arrivano flebili segnali di richieste di una sua retromarcia, anche se solo da una minoranza.

Conte cerca di fare male a Draghi e in parte anche a Di Maio che ha lasciato il Movimento

Conte chiede risposte in “tempi ragionevoli” © Ansa

Non si vede però perché Super Mario dovrebbe ricredersi. Ripensarci sarebbe una figuraccia. È vero che perfino Mattarella aveva giurato, e non solo una volta, che non avrebbe concesso repliche, e quindi l’esempio verrebbe dall’alto, ma accettando un bis, anche alle sue condizioni, Draghi dimostrerebbe di avere una parola mutevole, che vale quanto quella di Conte o Di Maio. Se ieri l’altro, andandosene, l’ex governatore della Bce ha dimostrato agli italiani di avere le palle, tornando darebbe la prova che qualcuno nel frattempo ci ha camminato sopra. Quel qualcuno non può essere Letta, tantomeno Conte, e con tutto il rispetto neppure il capo dello Stato.

Certo Draghi non agisce guidato dagli istinti, ma in questi giorni di riflessione che lo separano da mercoledì prossimo avrà modo di ripensare alla sua storia recente. E si ricorderà che se ne stava bello tranquillo in pensione, a Città della Pieve, candidato in pectore alla successione di Mattarella, quando proprio il capo dello Stato, regista Renzi e d’accordo con il Pd, Berlusconi e Salvini, lo disturbò per giubilare il disastroso governo Conte-Travaglio-Arcuri e salvare l’Italia dal Covid e dal fallimento. Il contrattempo avrebbe indispettito anche un santo e ora Draghi si trova alla porta, con il piattello in mano, i partiti che lo hanno accoltellato, a supplicarlo di salvargli loro la vita e non consegnare il Paese alla Meloni, che è la sola a essere sempre stata onesta con lui fin dal primo minuto, e che perciò lo ha rispettato più di tutti.

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Daniele Magliocchetti