Le condizioni di Draghi erano una trappola. Palazzo Chigi puntava a un’ammucchiata di centro e dividere per sempre forzisti e leghisti da Fd
“C’è vita nel centrodestra. Mario Draghi ha provato a trattare Berlusconi e Salvini come fossero Giuseppe Conte, schiaffeggiandoli indelicatamente, riservando loro un disprezzo che non ha mai mostrato neppure verso quel che resta dei grillini”. Ha aperto così il direttore di Libero Pietro Senaldi. E ha proseguito dettando la linea di quella che sembra essere la strategia del centrodestra dall’inizio della crisi fino alla caduta o quasi del Governo. Draghi Si è presentato per il suo discorso in Senato con alla sua destra Di Maio e alla sua sinistra Guerini, tanto per mettere in chiaro le cose, e ha sciorinato un programma di sinistra: nessuna pietà sulle tasse, nessuno sconto sulle pensioni, botte in testa a tassisti e balneari, ha rivangato perfino la questione, già chiusa, della riforma del catasto. I casi sono due: o voleva andarsene senza prendersene la responsabilità, o qualcuno, i suoi consiglieri nei palazzi e leccapiedi nell’informazione, lo aveva convinto che Lega e Forza Italia avrebbero abbassato la testa, per paura del voto o per fare un dispetto alla Meloni.
L’ipotesi della fuga è forse la più probabile, considerando che il premier, pur non essendo un politico di professione, non è uno sprovveduto. È verosimile che, dopo aver saputo che Conte avrebbe ritirato i suoi ministri e quindi lui avrebbe potuto continuare a governare semplicemente sostituendoli con parlamentari transitati da Di Maio, Draghi abbia capito che l’unica via per lasciare Palazzo Chigi sarebbe stata attaccare a testa bassa la Lega, e così ha fatto, provocandone la legittima reazione.
Ha pagato l’arroganza di Draghi: “Si governa come dico io o ciao”
L’alternativa è che abbia sbagliato a leggere la situazione. Forse si era illuso che i partiti del centrodestra lo avrebbero seguito per evitare una spaccatura sul modello di M5S, ma in tal caso l’errore di valutazione è stato macroscopico, perché i parlamentari grillini un futuro non ce l’hanno, quelli forza-leghisti invece possono sperarci. Il centrodestra si è sentito provocato da un premier che si è atteggiato a banchiere del popolo, rivendicando le manifestazioni dei giorni scorsi perché rimanesse e si è compattato. Abile è stato Salvini, che per giorni ha lavorato sull’ala draghiana della Lega e sull’alleato Berlusconi, per vocazione governista, a tenere tutti insieme.
Il resto lo ha fatto l’arroganza del presidente del Consiglio, che ha sfidato il Parlamento, errore che nessuno può fare senza pagare dazio, neppure il migliore: “Si governa alla mia maniera o ciao“, è stato il messaggio. Inevitabile la risposta, affidata al capogruppo della Lega in Senato, Massimiliano Romeo, che gli ha rilanciato la palla: nessun marchese del Grillo, nessuna delega in bianco, siamo ancora in democrazia, ti liberi dei grillini e ci sediamo tutti insieme per costruire un nuovo patto di governo, con te al timone. Così si fa tra persone serie e nel rispetto delle istituzioni. È stata una replica necessitata a un discorso che ha irritato moltissimo i leader del centrodestra, che si aspettavano una risposta a Conte, non un processo al loro appoggio di governo in questo anno e mezzo. Invece Draghi ha dato per scontato che M5S non rientrasse più nella sua maggioranza, sorvolando sulla contraddizione che questo comportava rispetto alla giustificazione da lui esplicitata quando ha aperto da solo la crisi di governo e ha puntato il fucile su Salvini, con un tono da “ragazzino, lasciami lavorare”. Il leader della Lega ha notato che gli stessi modi non sono stati riservati a Letta, al quale il premier non ha chiesto di sotterrare l’ascia di guerra su ius scholae