In Birmania nelle ultime ore sono stati giustiziati 4 ex parlamentari per la libertà della loro nazione, erano accusati di atti di terrorismo
Quattro attivisti birmani per la democrazia sono stati giustiziati per aver collaborato a organizzare “atti terroristici”, si tratta delle prime esecuzioni di prigionieri politici dagli anni Ottanta.
Si calcola che almeno 2mila persone siano state uccise dal regime dal colpo di stato del febbraio 2021 che ha portato il regime militare del generale Min Aung Hlain al potere e altre 113 sono le persone in attese di essere giustiziate.
Altri attivisti uccisi
Quattro attivisti birmani per la democrazia sono stati giustiziati per aver collaborato a organizzare degli atti terroristici. Era dal 1980 che non si verificavano esecuzioni di prigionieri politici, lo hanno riferito oggi i media statali in Birmania, dove dal febbraio del 2021 è al potere la giunta militare che ha spodestato il governo democratico guidato da Aung San Suu Kyi. I quattro attivisti giustiziati son l’ex parlamentare e artista hip-hop Phyo Zeya Thaw, di 41 anni, Kyaw Min Yu di 53 anni, Hla Myo Aung, e Aung Thura Zaw.
Condannati senza un equo processo
I quattro attivisti giustiziati erano stati condannati in un verdetto a porte chiuse lo scorso agosto, e a giugno il loro ricorso in appello era stato respinto. In particolare, Phyo Zeya Thaw, che nel 2015 era stato eletto nelle fila della Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, era stato condannato per aver organizzato alcuni attacchi armati contro le forze di sicurezza. Kyaw Min Yu, invece, era stato giudicato colpevole di aver sobillato la resistenza armata con messaggi sui social media critici del regime. Secondo il servizio in lingua birmana dell’emittente Voice of America, sono almeno 113 gli attivisti in attesa di esecuzione dopo le condanne a morte emesse sotto il regime militare del generale Min Aung Hlain. Si calcola che almeno 2mila persone siano state uccise dal regime dal colpo di stato del febbraio 2021. Un conteggio esatto delle vittime è reso impossibile dal fatto che la resistenza armata si è spostata nelle campagne, unendosi in molti casi alle milizie etniche impegnate da decenni in conflitti con l’esercito centrale, che nega loro maggiore autonomia nelle zone di confine.