Fino a un mese fa ci si appassionava per le dirette di Zelesnki e le maratone in tv, ma da un po’ di tempo a questa parte interessa poco o nulla
C’era una volta la guerra in Ucraina, i missili e le bombe da ogni direzione, i morti, i rifugiati e soprattutto il via vai di persone da ogni paese che si affannavano ad andare al confine con la Polonia per soccorrere la gente in difficoltà. Era quasi una gara a chi andava prima. Ah no, ma ci sono ancora a dire il vero. Si, ci sono ancora. O forse non è così? A guardare bene e osservare con attenzione sembra quasi sia tutto finito perché nei vari Tg o nelle diverse testate cartacee se ne parla sempre, sempre di meno. Eppure il conflitto, perché di questo si tratta, c’è ancora e non sembra affatto cessato anzi si fa ancora più violento e più sanguinoso ogni giorno che passa. Da una parte e dall’altra. Ma l’attenzione è scemata. E neanche poco.
Sembra quasi un anno fa che ci si preoccupava della centrale nucleare di Zaporizhzhia, ricordate? Si, la più grande d’Europa che ha rischiato di creare un dissesto ambientale perché attaccata coi missili. La grande paura dell’atomica, si diceva. Il problema è che sono passate solo cinque settimane o giù di lì, ma sembra molto più distante e lontano.
Per non parlare dello spauracchio Orsini, già il professore filoputiniano messo all’angolo e insultato in tutto e per tutto dagli stessi che ora parlano di tutt’altro, delle elezioni o degli incendi o di altro. Per non parlare ancora di quanto sta avvenendo negli impianti Azot di Sverodonetsk assediate dall’armata russa, dove si sta consumando la stessa tragedia dell’Azovastal con migliaia di civili in trappola oppure nel Lugansk dove sono state scoperte fosse comuni e crimini contro i civili proprio come a Bucha. Eh già proprio Bucha che tutto il mondo, giustamente, ha indignato. La verità è che sul fronte si continua a morire ma l’empatia e il coinvolgimento emotivo dei primi tempi non c’è più. Ma l’invasione di Putin non metteva in gioco la nostra stessa libertà, e gli ucraini non erano forse i “nuovi partigiani” che, come Davide contro Golia, resistevano al tiranno?
Ci rivolgiamo in particolar modo a quella stampa “atlantista“, diciamo così, che ha elogiato il presidente Zelensky, le sue dirette dal fronte o al coraggio dei suoi compatrioti paragonati ai partigiani. Quella stessa stampa che ci ha mostrato le città ridotte in cenere, i corpi straziati sotto le macerie, o quelle immagini dei bambini stanchi, terrorizzati e fragili, fino ai video con le esecuzioni dei civili. Quella stessa stampa che tuonava contro l’assuefazione e l’indifferenza all’orrore perché noi tutti dovevamo essere “je suis Ucraina” e così via. La brutta e sgradevole sensazione è che la guerra ci appassioni soltanto di riflesso, cioè nella misura in cui può animare il pollaio, il dibattito velenoso in tv, generare polemiche politiche interne con tutto il noto campionario di invettive da talk show o da editoriale indignato che conosciamo bene. Una brutta e inevitabile fine. Ma si sapeva. Come e quanto è accaduto (e sta accadendo) in Siria. O quello che accade da anni in Palestina. E tutto nel silenzio generale.