Le nuove misure del Governo scatteranno da subito e saranno retroattive, ci saranno anche dei tagli sulle aliquote dei contributi
Una ulteriore riduzione del costo del lavoro per sei mesi, da luglio a dicembre, che scatterebbe – con effetto retroattivo – dalla prossima retribuzione di agosto. È questo lo schema che dovrebbe trovare posto nel prossimo decreto legge del governo, in preparazione per la prossima settimana. Alla fine, scrive il quotidiano Il Messaggero, l’esecutivo ha deciso di abbandonare la strada della replica del bonus 200 euro inserito nel precedente provvedimento di aiuti, e di puntare invece per quanto riguarda il mondo del lavoro dipendente sul raddoppio (qualcosa di più in realtà) dell’esonero contributivo già introdotto da inizio anno per le retribuzioni fino a 35 mila euro l’anno (2.692 mensili).
La riduzione del versamento attualmente in vigore, che si traduce in corrispondente incremento in busta paga, è dello 0,8 per cento. Ora si aggiungerà un ulteriore taglio dell’1 per cento, per cui l’aliquota contributiva a carico del lavoratore scenderà temporaneamente al 7,39% (dall’originario 9,19%). Naturalmente senza conseguenze per la futura pensione degli interessati, perché lo Stato garantisce la differenza come contribuzione figurativa.
La riduzione dell’1% riguarda i redditi sotto i 35.000 euro
La novità scatterà con le retribuzioni di agosto, che secondo l’ipotesi a cui si lavora in questi giorni comprenderebbe anche il recupero del beneficio del mese di luglio. Includendo anche l’effetto dello 0,8% scattato nel 2022 si arriverebbe così ad un incremento mensile che nel caso del livello più alto di reddito arriverebbe a 75 euro, mentre sarebbe proporzionalmente meno consistente per stipendi più bassi, come si vede dalla tabella in questa pagina. Ad esempio con 1.280 euro mensili il beneficio complessivo ad agosto sarebbe di 36 euro. Un effetto insomma proporzionale all’entità del reddito e dunque minore in cifra assoluta per quelli meno elevati. Si tratta come si vede di un meccanismo diverso da quello dei 200 euro che al contrario premiavano maggiormente chi aveva retribuzioni più basse.
I pensionati avranno invece da settembre un anticipo della rivalutazione della pensione, in una misura intorno al 2 per cento. Questa scelta si inserisce nell’attuale meccanismo della perequazione, che rischia di essere inadeguato in una fase in cui c’è stata una brusca accelerazione dei prezzi. Ogni anno infatti gli assegni pensionistici vengono adeguati sulla base dell’andamento dell’inflazione dell’anno precedente. Per il 2021 era stato calcolato un incremento provvisorio dell’1,7%, che è stato applicato da gennaio ai trattamenti in essere. Questa percentuale è stata poi ritoccata al rialzo all’1,9 ma nel frattempo, nel corso del 2022, il carovita ha iniziato a correre molto di più. Di qui la decisione di riconoscere qualcosa in più a partire dal mese di settembre, mentre l’aumento definitivo scatterebbe dal prossimo gennaio su un andamento medio sicuramente superiore e vicino all’8 per cento (anche nell’ipotesi di raffreddamento nella seconda parte dell’anno). Per lo Stato il maggior esborso calcolato dall’Inps si aggirerebbe sui 24 miliardi, risorse che per legge devono comunque essere rese disponibili. Dal punto di vista dei pensionati, al di là dell’andamento dell’inflazione, influisce favorevolmente anche il ritorno proprio dal 2023 al meccanismo di indicizzazione più generoso. Il recupero è quasi totale anche per i redditi pensionistici più alti per i quali viene tagliata e in misura limitata (25 per cento) non la rivalutazione sull’intero importo ma solo su quella che eccede una certa soglia.